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Le mille casacche di "Giuseppi", premier trasformista in soli 18 mesi

Da "avvocato del popolo" a supporter grillino, fino all'asse di ferro con Zingaretti e Gualtieri. Passando per Salvini

Le mille casacche di "Giuseppi", premier trasformista in soli 18 mesi

Ha cambiato più partiti che pochette e ogni volta ha promesso la fedeltà dell'infedele: con tutti si è poi macchiato di adulterio. Ha cominciato da «avvocato del popolo» (e del M5s) e in un anno e mezzo è finito a recitare la parte del Casanova delle casacche. Per provare a raccontare il formidabile percorso di Giuseppe Conte, premier che in questi giorni ha esplorato l'ultimo continente politico, il Pd, (ormai si sente un indigeno democratico) non si può che andare a ritroso, ripartire dalle origini di una figura che come aveva già profetizzato Carlo De Benedetti è destinata a farsi nuova categoria: «Non si è mai visto un personaggio così nella storia italiana, uno che governava con la Lega contro il Pd, e in poche settimane, con lo stesso entusiasmo, governa contro la Lega e con il Pd. Ci vuole una capacità di trasformismo notevole». E ci vuole una dose di ambizione incontenibile, quella che lo stesso Conte ha riconosciuto: «Sono il più ambizioso di tutti».

Scoperto da quel rabdomante di talenti, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, questo professore di diritto, nella migliore delle possibilità, era destinato a diventare ministro della Funzione Pubblica per conto del «vaffa». Non prevista era tuttavia la peggiore. Indicato dal M5s come tecnico d'area, per i giri e i veti della sorte, è stato poi promosso premier del primo governo populista. Da populista ha infatti esordito. Nel suo primo discorso di insediamento, era il 2018, pronunciato al Senato, Conte era riuscito a piegare due giganti della letteratura come Puskin e Dostoevskij: «Se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente, ebbene queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni». Avevamo immediatamente capito di che pasta fosse, ma non avevamo compreso quanto audace potesse essere. Travolto dall'entusiasmo per aver abolito la povertà insieme al suo sodale Di Maio, da premier, si prestò a fare lo sparring partner del suo vice, (era gennaio 2019) al punto da presentare la prima card del reddito di cittadinanza come fosse un battitore d'asta e promettere compiaciuto ai suoi «ragazzi» del M5s (ancora li chiamava così) «la vostra riforma verrà studiata da altri paesi».

Gli sono bastati pochissimi mesi al governo per accorgersi che doveva darsi una verniciata verde leghista. Non ha esitato. C'è stato un tempo, prima di definire Salvini «un irresponsabile», in cui Conte lo ha difeso fino a Washington, («Se ritenete Salvini un razzista sbagliate di grosso. Io ci parlo tutti i giorni, non ha mai avuto questa impronta»). E, ancora, con il suo corpo, lo ha coperto di fronte alla magistratura che lo indagava per il fermo della nave Diciotti: «Preciso che le determinazioni assunte dal ministro dell'Interno sono riconducibili a una linea politica che ho condiviso». È sicuro che quella stagione «leghista» ha avuto ripercussioni sulla sua sfera religiosa. Per non essere da meno rispetto a Salvini, che collezionava rosari, Conte ha cercato la sponda dei cattolici fino al capolavoro mistico andato in onda a Porta a Porta, un'intervista su Padre Pio: «Tutta la mia famiglia è devota. Conservo un'immagine nel portafogli».

Quando si è però trovato nel periglio, quando stava per ritornare alla sua vecchia professione, non si è rivolto al cielo, ma al Colle: si è scoperto mattarelliano. Era sempre quel Conte che per non scontentare i suoi vecchi amici (M5s) fu capace dell'assurdo e definire Piersanti Mattarella non il fratello del nostro presidente, ma solo «un congiunto». Improvvisamente, questa estate, la sua lingua è invece mutata: «Concedetemi un ringraziamento al presidente Mattarella. È un riferimento imprescindibile». Ma la sua fuga senza fine era, e non è, ancora terminata. In piena crisi, con la complicità di Beppe Grillo, esautora Di Maio e si sposa con il Pd, «partito che in passato ho votato» tiene a far filtrare per farsi accettare meglio da Nicola Zingaretti. Diventa anche zingarettiano. In una poderosa operazione di rimozione, intrapresa questo settembre, si spinge infatti a dire che «definirlo del M5s è una formula inappropriata». E c'è da scommettere che se non fosse venuta in soccorso una vecchia fotografia, sarebbe riuscito a farlo credere. Recuperata e risalente al 4 marzo 2018, è consultabile e si vede proprio il premier esultare dopo la vittoria del M5s. Sarebbe troppo per chiunque, ma non per Conte.

Ottenuto lo ius soli anche dal Pd, tanto da far dire a uno come Gianni Cuperlo, uomo che a sinistra ne ha viste davvero tante, «non escludo che Conte nel Pd possa finirci», da pochi giorni, questo premier uno, nessuno, centomila, ha aggiunto una nuovissima tessera. Crociato della stabilità europea, si è iscritto alla corrente del ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, suo compagno d'arme nella vicenda Mes. Mentre Conte parlava, Gualtieri annuiva con il capo. Insomma, per il momento, Conte è gualteriano, ma è probabile che sia un altro, dei molteplici, indumenti per sopravvivere.

Il parlamento e suoi colori sono ormai solo stoffe per il suo armadio.

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