Le mille crisi di Erdogan, il sultano che vuole diventare imperatore

La nave Oruc Reis davanti al Dodecanneso ennesimo segnale ostile all'Europa e agli Usa

Le mille crisi di Erdogan, il sultano che vuole diventare imperatore

La Oruc Reis si staglia di nuovo da ieri sulle onde del Mediterraneo Orientale vicino all'isoletta di Megisti nel Dodecanneso, Kastellorizo, Castelorosso: per il luogotenente Montini nel film di Gabriele Savatores «Mediterraneo», un luogo di «importanza strategica zero». Per Erdogan, un altro modo di affermare la risorgenza dell'impero Ottomano, l'irrilevanza della suddivisione Onu delle acque territoriali del 1982 e la sua visione della «patria blu», 46.520 chilometri quadrati di Mare Nostrum che gli consentano di dominare le ricerche energetiche, annullare i patti e le conquiste di Grecia, Cipro, Israele, Egitto, e anche Italia.

Di nuovo, dopo che ad agosto aveva arruffato i rapporti con la Grecia, la sagoma minacciosa della grande Oruc Reis è ricomparsa «per condurre ricerche sismiche». Ma il messaggio è di nuovo quello del dominio delle risorse energetiche, e in generale, della scelta turca di un dominio antico che intende rinnovarsi, e non lo nasconde affatto. Erdogan accende incendi un po' ovunque, anche usando le armi, che sparano ormai su una diffusione geografica senza precedenti. Le mosse del leader turco sono affermative e categoriche, come quella che ricorda 46 anni fa quando, espulsi i ciprioti greci dal nord dell'isola di Cipro, la Turchia lo fece suo. Rimase però una spiaggia vuota, terra di nessuno, Varosha: ed è qui che giovedì si sono visti di nuovo uomini e bandiere Turchi presentatisi al solo scopo di intimidire e minacciare ciprioti e greci, e ricordare loro l'espulsione.

È la tecnica di Erdogan, abituato a compiere una serie di azioni incendiarie che hanno come conseguenza espulsioni di massa, cui si accompagna, specie rispetto ai siriani, la minaccia della utilizzazione dei profughi come arma con cui viene zittita l'Europa, che teme le masse migratorie controllate dal presidente Turco.

Dal 2016 la Turchia si scontra sistematicamente con tutti quelli in cui incappa sulla sua strada. Ha acceso incendi dall'Armenia alla Libia a Sinjar in Siria, alla Grecia, a Cipro. Sono finiti i tempi del pragmatico Ahmet Davotoglu, che per quanto ministro degli Esteri di Erdogan e poi primo ministro ci teneva all'immagine di una Turchia che voleva entrare nell'Unione Europea, e che voleva essere considerata una democrazia. L'odio di Erdogan per Israele già segnalava però dal 2010 la volontà di mettersi alla testa, con la sua organizzazione, i Fratelli Musulmani, di un grande movimento di conquista islamista del Medio Oriente: lo prova l'episodio della Mavi Marmara, una spedizione marittima diretta a Gaza e esaltata da Hamas (più volte invitata ad Ankara) anch'essa parte della Fratellanza, che finì tragicamente con l'uccisione di sei turchi. Nel 2016 sono venuti i tempi del golpe e del sospetto, della repressione violenta, della eliminazione politica del partito di opposizione, dei sindaci dell'opposizione rimossi per il 90 per cento, dei giornalisti in galera in massa e anche della guerra continua. Il 2016 è il tempo della prima invasione della Siria cui segue l'invasione di Afrin che fa fuggire 160mila curdi. Più avanti le milizie di Erdogan hanno attaccato le forze democratiche siriane sostenute dagli Usa nel ottobre del 2019 vicino a Tel Abyad. Poi Erdogan ha usato le sue milizie in gennaio in Libia, e adesso le usa contro gli Armeni a favore dell'Azerbajan. Erdogan minaccia Egitto, vuole schiacciare la Grecia e Cipro, se la piglia con gli Emirati e col Bahrein e annuncia che riconquisterà (come ai tempi Ottomani) Gerusalemme, che ritiene sua alla faccia degli ebrei e anche degli arabi. L'8 ottobre ha bombardato la storica chiesa armena di Shusha nel Nagorno Karabakh, e questo è parte del terrore inflitto alle chiese e ai cristiani che ha trasformato la storica magnifica cattedrale di Hagia Sofia da museo a moschea. Sulla stessa nota imperialista Erdogan promette di «liberare Al Aqsa», usa i radar S 400 russi per individuare gli F16 greci membri della medesima alleanza Nato, infastidisce le navi francesi, blocca una nave italiana, minaccia Israele, perseguita i greci.

Pensa che non pagherà mai nessun prezzo, forte del suo antico ruolo di ponte col mondo musulmano, della porta girevole che fa entrare i profughi a piacimento e del suo ruolo nella Nato. Ma, e Pompeo con la recente visita in Grecia e a Cipro sembra averne finalmente dato segno, non si crede più che sia un ponte: è un sultano alla ricerca dell'impero perduto, niente di più pericoloso.

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