La mina giustizia agita il governo

Mal di pancia grillini sulla prescrizione. Ma il Pd non ci sta

La mina giustizia agita il governo

«I referendum vogliono essere un aiuto sia al governo che al Parlamento». La raccolta di firme partirà a inizio luglio, ma Matteo Salvini sta ben attento, nel presentare insieme ai radicali i sei quesiti sulla giustizia, a non mettersi in contrapposizione con il titanico sforzo di mediazione che la ministra Guardasigilli Cartabia sta conducendo per portare a casa la «madre di tutte le riforme».

Il terreno della giustizia è politicamente minato, perché nelle leggi forcaiole approvate dal primo governo Conte (abolizione della prescrizione in testa) sta l'ultima, fragile bandierina identitaria del grillismo in disarmo. Ed è infatti dai Cinque Stelle (con qualche esponente Pd di complemento) che parte l'accusa contro Salvini: il suo «garantismo opportunista» ha il solo scopo di «imbrigliare la magistratura» e di «distrarre» il Parlamento dal compito di trovare un'intesa sulla riforma. Anche la responsabile giustizia dei Dem, Anna Rossomando, avverte la Lega: «Il tempo della riforma è adesso: rimandare al referendum significherebbe perdere una straordinaria occasione, rischiando di far perdere all'Italia i soldi del Recovery fund». Per questo Salvini replica che invece la pressione referendaria vuol essere «un aiuto alla ministra Cartabia, su cui contiamo per accelerare la riforma».

Dal governo, in verità, qualche preoccupazione che la campagna referendaria finisca per alimentare lo scontro politico, esacerbando le differenze all'interno della anomala maggioranza, trapela. «Se si innesca un derby tra garantisti e giustizialisti, in piazza e in tv, si rischia una spirale di radicalizzazione delle posizioni che renderebbe molto più difficile il faticoso lavoro di sminamento della Guardasigilli Cartabia», osserva un dirigente dem.

Nel fronte garantista c'è però chi spiega che se la spinta referendaria si traducesse anche in iniziativa parlamentare, diventerebbe possibile coagulare una maggioranza trasversale su molti dei temi sollevati dai quesiti. Alcuni dei quali (dalla valutazione professionale dei magistrati alla separazione delle funzioni), dice Enrico Costa di Azione, «fanno già parte del pacchetto di emendamenti al ddl Penale e a quello sul Csm che abbiamo presentato. E possono essere apprezzati da molti gruppi parlamentari: se la Lega decidesse di farli propri e votarli, i numeri per approvarli si troverebbero. Mi auguro sia così». Il dubbio, per Costa, è che invece si tratti di una mossa tutta politica del leader della Lega, «più interessato a lanciare un Opa sul centrodestra, imbracciando la bandiera garantista che è storicamente di Forza Italia, che a portare a casa risultati concreti».

Per venerdì Cartabia ha convocato un vertice per illustrare le proposte di revisione dell'ordinamento giudiziario elaborate dalla commissione ministeriale. Mentre la settimana prossima saranno presentati gli emendamenti governativi sul ddl penale, e si arriverà dunque al nodo della prescrizione. L'ex ministro Bonafede e l'ex premier Conte insistono: la prescrizione non deve tornare. Ma rischiano di non trovare sponda neppure negli amici del Pd: «Se si isolano nella difesa del loro totem, fanno un errore», dice al Foglio il dem Carmelo Miceli.

Mentre lo stesso segretario Letta - invece di polemizzare con Salvini sui referendum - incita a uscire «dallo scontro trentennale sulla giustizia: con Cartabia e Draghi possiamo fare tutti insieme la riforma». E la mossa di Di Maio sul caso Uggetti, come i fervidi proclami filo-Draghi («É una risorsa eccezionale») di esponenti come D'Incà lasciano intuire che anche nel M5s si possano aprire processi inaspettati.

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