Minacce e menzogne. Zar all'ultimo stadio. Non vuole la pace ma vincere la guerra

Da autocrate a dittatore: il leader russo sa che sta perdendo la battaglia dell'immagine

Minacce e menzogne. Zar all'ultimo stadio. Non vuole la pace ma vincere la guerra

Un Putin all'ultimo stadio. Dopo la grottesca esibizione in stile Norimberga anni Trenta, il calembour è fin troppo facile. Quando un autocrate ricorre a simili mezzi, ha definitivamente deciso di porsi come un dittatore e come tale l'ex colonnello del Kgb che ha voluto farsi zar si sta ormai comportando. Lecito chiedersi come vorrà procedere da qui in avanti, mentre sempre più evidenti sono le gravi difficoltà della sua azione militare e diplomatica.

Punto primo: la comunicazione. Vladimir Putin sta perdendo malamente la battaglia dell'immagine, e non sa invertire la corrente negativa. Il suo avversario ucraino invece, dileggiato da Mosca in quanto ex attore comico, ha imparato la lezione di Ronald Reagan, e da professionista dello spettacolo si dimostra un grande comunicatore. I discorsi di Volodymyr Zelensky ai Parlamenti occidentali vengono regolarmente salutati da standing ovation, mentre Putin utilizza un pessimo modello mediatico: ingessato, stantio, privo di carisma e soprattutto troppo disposto a ricorrere a menzogne anche grossolane e inverosimili. Lo ha fatto anche allo stadio di Mosca e la sua tendenza a credere alla sua stessa falsa propaganda costituisce sempre più chiaramente il principale problema in questa fase della guerra. Oltre tutto, quando Putin ribadisce che «la denazificazione dell'Ucraina si farà» nega senso e legittimità all'azione dei suoi diplomatici.

Il ricorso alla negazione dell'evidenza è continuo anche da parte dei volti della comunicazione esterna russa: il ministro degli Esteri Lavrov, i portavoce del Cremlino Peshkov e Zakharova, l'ambasciatore all'Onu Nebentzya. Esso può relativamente funzionare in Russia, dove l'informazione libera viene soffocata (presto toccherà a YouTube), ma si rivela controproducente all'esterno, dove insistere nel sostenere che «la Russia non ha attaccato l'Ucraina», che «non colpisce obiettivi civili» e addirittura che «non abbiamo bombardato il teatro di Mariupol» è semplicemente grottesco mentre circolano inequivocabili immagini che provano uno spaventoso contrario.

Al Cremlino non sembrano voler imparare questa semplice lezione. Anzi, il ricorso a una propaganda surreale aumenta e dimostra soltanto debolezza. Ecco dunque l'inverosimile denuncia di armi biologiche ucraine e occidentali fatta alle Nazioni Unite, con tanto di coinvolgimento a sostegno dell'alleato cinese. Il cui supporto è nominalmente ferreo, ma in realtà prudente: Pechino appoggia le denunce russe, ma contemporaneamente manifesta ammirazione per la resistenza del popolo ucraino, e arriva a sostenere che la Cina avrebbe preferito «essere una forza positiva, economicamente e politicamente, per l'Ucraina», piuttosto che attaccarla. E lo stesso Xi Jinping dice a Biden che questa guerra non è nell'interesse di nessuno.

Il tunnel in cui Putin si è infilato da solo fa ora temere che il dittatore russo voglia andar oltre la semplice menzogna propagandistica. Fonti anonime russe alludono alla possibilità di attentati in Russia fatti compiere ai servizi segreti, sulla falsariga di quanto accadde vent'anni fa per incolpare i ceceni e scatenare una guerra devastante contro di loro: stavolta verrebbero accusati i «nazisti ucraini» e forse lo stesso Occidente, con l'obiettivo di distrarre l'opinione pubblica russa, rianimare il patriottismo e giustificare la lunga durata della guerra. Ma già oggi, la resistenza dei cittadini ucraini a Kherson e Melitopol dimostra le future enormi difficoltà nell'occupare un Paese compattamente ostile.

Improbabile anche che Putin sia disposto a cambiare strada di fronte al suo fallimento militare. Piuttosto che ammettere l'impantanamento dell'avanzata di fronte alla grande motivazione ucraina e alla superiorità delle armi occidentali, continuerà a far arrestare generali e capi dell'intelligence. Come tutti i dittatori, continuerà a circondarsi di yesmen per farsi confermare la bontà della sua strategia.

Proseguirà la guerra nella speranza (per lui certezza) di vincerla, mentre lascerà lavorare i diplomatici solo per l'eventualità di doversi rassegnare a un compromesso qualora si dimostri inevitabile. Perché Putin lo ripete ogni giorno: vuole vincere la guerra, non fare la pace.

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