
È largo appena 33 chilometri e per attraversarlo le petroliere devono incanalarsi, a seconda della direzione, in due canali paralleli la cui ampiezza non supera i tremila metri. È lo stretto di Hormuz, la tagliola del greggio. Una tagliola con cui gli iraniani minacciano di rispondere agli attacchi americani innescando una crisi energetica a livello mondiale. Non a caso ieri Behnam Saeedi, membro del Comitato per la sicurezza nazionale del Majlis, il Parlamento di Teheran, ha spiegato che "la chiusura di Hormuz è una delle possibili opzioni dell'Iran". Riuscendo a portarlo a termine gli ayatollah bloccherebbero il 25/30 per centro del greggio commerciato a livello mondiale innescando un brusco aumento dei prezzi in Europa, Stati Uniti e Cina.
"Se gli Stati Uniti entrassero ufficialmente e operativamente in guerra a sostegno dei sionisti, l'Iran avrebbe il legittimo diritto di esercitare pressione sugli Stati Uniti e sui paesi occidentali per ostacolare il transito del loro commercio di petrolio", ha aggiunto Alì Yazdikhah, un altro membro del Majlis. Per ottenere questo risultato Teheran può scegliere fra i diversi metodi sperimentati fin dalla guerra con l'Iraq degli anni Ottanta. La semplice minaccia di attacchi alle navi in transito pronunciata dai due parlamentari iraniani basterà da sola a mandare alle stelle i costi assicurativi diradando notevolmente il traffico. Volendo passare dalle parole ai fatti il sistema più pratico e insidioso, sarà la disseminazione di mine antinave. La loro rimozione richiede tempo e operazioni specializzate, causando ritardi significativi. L'affondamento di navi, anche proprie, al centro dei due canali di navigazione basterebbe a rendere assai difficile la navigazione e imporrebbe complesse operazioni di sgombero da svolgersi in un teatro di guerra navale. Ma l'Iran può anche scegliere di utilizzare i missili Noor, Qader o Khalij Fars, capaci di colpire navi mercantili o militari. E i droni - già utilizzati in passato per bersagliare alcune petroliere, possono mettere a segno attacchi mirati contribuendo a creare un clima di assoluta insicurezza.
Non bisogna poi dimenticare che fin dalla seconda meta degli anni 80 i pasdaran hanno addestrato dispiegato un'unità navale, dotata di barchini veloci armati con mitragliatrici pesanti e lanciarazzi, specializzata in azioni di guerriglia marittima. A queste operazioni possono partecipare anche i sottomarini della classe Kilo e i minisottomarini Ghadir che da anni sperimentano tattiche di assalto combinato assieme ai barchini veloci di superficie. Ovviamente la presenza di tre squadre navali americane affiancate da decine di droni e aerei può agevolmente contrastare la minaccia offerta dei barchini e dei mini sottomarini. Ma qualche attacco, come dimostrano le incursioni missilistiche su Israele, può sfuggire alle più sofisticate tecnologie. Il blocco dello stretto di Hormuz non è comunque l'unica arma di Teheran. Non più tardi dell'11 giugno scorso il Ministro della Difesa Aziz Nasirzadeh ha dichiarato che "tutte le basi Usa sono a portata di mano e verranno colpite senza esitazione" in caso di attacco statunitense. Le basi più vulnerabili sono sicuramente quelle sparse tra Iraq e Siria.
Oltre ad essere nel raggio dei missili lanciati dal territorio iraniano alcune basi - come Rumalyn in Siria e Al Asad in Iraq - possono venir colpite anche dalle testate in possesso delle milizie sciite attive in territorio iracheno. Milizie a cui Teheran ha, fin qui, ordinato di non attivarsi proprio nella speranza di evitare uno scontro con gli Usa.