Il ministro Gentiloni aveva detto: «Pagato un riscatto? Non mi risulta»

Il ministro Gentiloni aveva detto: «Pagato un riscatto? Non mi risulta»

Il governo ha sempre smentito. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni era addirittura andato in Parlamento a rispondere alle interrogazioni sulle modalità della liberazione di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, prigioniere per sei mesi dei jihadisti siriani. «Siamo contrari al pagamento di riscatti - aveva detto -. L'Italia in tema di rapimenti si attiene a comportamenti condivisi a livello internazionale». Insomma, tutte illazioni. Peccato che a far cascare l'asino ci abbia pensato il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi. «Contropartite ci sono sempre quando uno riesce a liberare ostaggi, ma non sempre sono di tipo economico», ha spiegato parlando a SkyTg24 , anche se sulla cifra di 12 milioni di dollari è scettico: «Mi sembra esagerata dal tipo d'informazioni che io ho. Se si fosse pagato quel riscatto, sarebbe inaccettabile». Forse i numeri non sono azzeccati, ma di sicuro l'Italia ha pagato, se non con denaro sonante, comunque con qualche formula concordata assieme ai terroristi. Lo stesso ministro Gentiloni, messo alle strette da Lilli Gruber in tv venerdì scorso, non era stato più così categorico sul riscatto. «Che io sappia, non c'è stato», aveva detto, come se lui non fosse informato. Be', se non lo sa il ministro degli Esteri, a chi dovremmo chiederlo?

Il presidente del Copasir ha espresso tutta la sua contrarietà a esaudire le richieste dei terroristi. «Se fossero stati dati soldi che poi potrebbero venire usati per comprare armi e creare danni alla sicurezza - ha aggiunto Stucchi - sarebbe stato sicuramente un errore, una scelta da non fare». Il senatore ha ricordato che i sequestri «spesso iniziano con due richieste: soldi o uno scambio di prigionieri e spesso finiscono né con l'una né con l'altra soluzione. Rispetto ai 12 milioni di euro ipotizzati, la cifra di solito è molto inferiore. Bisogna avere la consapevolezza che pagare è come un cane che si morde la coda e non va bene - ha sottolineato -. Se io faccio capire di essere disponibile a pagare, poi le persone in quelle aree diventano bancomat per terroristi».

Insomma, la polemica è ancora aperta e non solo nel mondo politico. Ieri il Codacons ha presentato un esposto alla Corte dei Conti, nel quale si chiede ai giudici che «venga accertato se una qualunque fonte di finanziamento pubblico sia stato investito per riportare le due ragazze a casa e, in caso affermativo, di che importo trattasi». Nonostante abbia manifestato grande soddisfazione per la liberazione delle due ragazze, il Codacons ha sottolineato che «non si può non evidenziare come, di fondo, Greta e Vanessa, nonché l'associazione Rose di Damasco per cui lavoravano, abbiano potenzialmente esposto loro stesse e l'intero Stato italiano a una situazione di rischio e difficoltà coscientemente, con la loro volontaria presenza in un paese in cui imperversa la guerra civile e con una pesante presenza di terrorismo».

Sul fronte siriano, nel frattempo, c'è chi cerca di fare retromarcia sulla vicenda, come Iyad Khatib, attivista e sostenitore dei movimenti ribelli, che era stato il primo a diffondere la notizia sul pagamento di 12 milioni ai jihadisti.

«Quando ho diffuso la notizia, non ho detto che si trattava di un fatto accertato» ha spiegato Khatib, ritrattando di fatto tutte le precedenti affermazioni. «Mi ha parlato solo un esponente di Al Qaida contatto da me in Siria - ha aggiunto -. Non sono stato io a dare la notizia, ho solo ripreso delle voci».

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