Il ministro del Lavoro licenzia i ragazzi italiani

Poletti choc: «Giovani in fuga? Alcuni è meglio se vanno via». Mentre Renzi apre sul Jobs Act

I giovani emigrano? «Alcuni meglio non averli tra i piedi». Se Matteo Renzi, domenica, si è messo le mani nei capelli per la battuta di Roberto Giachetti sulle «facce di culo» della minoranza Pd, chissà che gesti avranno fatto lui e Paolo Gentiloni, leggendo le dichiarazioni di Giuliano Poletti.

Nel giorno in cui uscivano i dati Inps sull'esplosione dei voucher, e mentre apriva ad una modifica restrittiva delle regole in materia (pur difendendo a spada tratta il Jobs Act), il ministro del Lavoro si è lasciato una di quelle classiche battute che scatenano lo tsunami delle polemiche.

Ai giornalisti che evocavano il dato della fuga di 100mila giovani dall'Italia, Poletti ha replicato: «Intanto bisogna correggere l'opinione secondo cui quelli che se ne vanno sono sempre i migliori. Se ne vanno 100mila, ce ne sono 60 milioni qui: sarebbe a dire che quelli bravi e intelligenti se ne sono andati e quelli rimasti qui sono tutti dei pistola. Permettetemi di contestare questa tesi». E fin qui, poco male. Solo che poi il ministro ha aggiunto: «Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». Apriti cielo: subito è iniziata la sarabanda delle reazioni, tutte scandalizzate. C'è chi chiede le dimissioni, come fa Stefano Fassina; chi dice «Togliti dai piedi tu», come Nicky Vendola, chi definisce le sue parole «offensive e arroganti», come la Lega, o «insultanti», come i Cinque Stelle.

Intanto si torna a parlare di legge elettorale, dopo il colpo di acceleratore impresso da Matteo Renzi, che domenica ha buttato sul tavolo il recupero del Mattarellum.

Da 24 ore si susseguono adesioni o rigetti della proposta renziana, da Matteo Salvini che dice «gliela firmerei anche subito» al «giammai» di Renato Brunetta. Fino ai Cinque Stelle che - in un surreale testa coda - ora dicono peste e corna del Mattarellum (che avevano sostenuto) e decantano le virtù dell'Italicum (contro cui avevano organizzato sommosse in piazza e nelle aule parlamentari). Ma il leader Pd non si fa certo illusioni sugli effetti immediati: per varare una qualsiasi legge elettorale serve un accordo, possibilmente ampio, in Parlamento. E il principale ostacolo al suo raggiungimento non sono tanto le tecnicalità della legge, quanto la resistenza passiva di chi, a votare, non ci vuole andare. La fretta di Renzi, che vorrebbe nuove elezioni in primavera, trova largo consenso nella pubblica opinione (ieri il sondaggio online di Sky dava un massiccio 78% di ascoltatori d'accordo con l'ex premier) ma grande contrarietà nel Palazzo. I due principali partiti di opposizione, Forza Italia e Cinque Stelle, non vogliono il voto. Ma lo stesso segretario Pd ieri notava ironicamente come, all'Assemblea dell'Ergife, anche i parlamentari Pd fossero molto renitenti nell'applaudire le parole chiare sulle elezioni del ministro Delrio. Numericamente, con un Pd compatto, i voti di Lega e Fratelli d'Italia potrebbero bastare a forzare la situazione e ad approvare la legge elettorale semi-maggioritaria.

Ma un accordo più ampio garantirebbe di superare più facilmente l'inerzia parlamentare e assicurerebbe un cammino più celere alla riforma: per questo Renzi guarda a Silvio Berlusconi e al «compromesso possibile» con lui. Compromesso che, spiegano nel Pd, si può tradurre solo in una cosa: innalzamento al 50% della quota proporzionale.

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