
Resilienza e fragilità. La guerra contro «l'asse del male dell'Iran» costringe gli israeliani a nuove prove di resistenza bellica e insieme allo strazio per altre vittime da piangere, come se non bastassero i 1200 trucidati il 7 ottobre. Il bilancio dell'ultima giornata di conflitto, la terza, è di almeno 15 morti e circa 200 feriti, ma è inevitabilmente destinato a salire. Teheran attacca ormai notte e giorno per vendicare le azioni mirate dell'Idf sui propri impianti militari, nucleari ed energetici. A differenza di Israele, l'Iran non punta esclusivamente a obiettivi militari. Colpisce indiscriminatamente. E nonostante il sofisticatissimo sistema di difesa israeliano, la notte fra sabato e domenica è stata più nera del solito nei dintorni di Tel Aviv.
A Bat Yam, sobborgo della metropoli, uno dei 200 missili lanciati dal regime degli ayatollah contro la Stato ebraico ha danneggiato 61 edifici residenziali e ne ha distrutti almeno sei. All'interno di uno di questi sono stati recuperati i corpi di almeno 7 vittime, tra cui due bambini di 8 e 10 anni e un ragazzo di 18. Altri tre civili sono ancora dispersi. Secondo il Comando del Fronte Interno israeliano, le vittime non erano nei rifugi quando il missile balistico lanciato dall'Iran è andato a segno. Chi era nei bunker è rimasto illeso. Ma i morti di Bat Yam si sommano a quelli della città arabo-israeliana di Tamra, nei pressi di Haifa, dove sabato notte sono rimaste uccise altre 4 donne, simbolo della pacifica convivenza in Israele. Tutte appartenevano infatti alla stessa famiglia: mamma, due figlie e una cognata. E tutte erano arabe. E anche quelle vittime provano ciò che le Forze di Difesa e le autorità israeliane non smettono di ricordare: il sistema antimissile israeliano raggiunge picchi di efficacia che si aggirano intorno al 90%. «Ma non è ermetico». Dei circa 200 missili balistici lanciati dall'Iran fino a ieri, 22 sono riusciti a colpire il territorio israeliano.
Secondo l'agenzia di stampa del regime, Teheran ha usato un nuovo missile balistico negli ultimi attacchi contro Israele. Si tratta dello Haj Qassem, che prende il nome da Qassem Soleimani, il comandante del corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane assassinato in un attacco mirato in Iraq, nel gennaio del 2020, durante il primo mandato del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Con una gittata di 1200 chilometri e una testata manovrabile, il missile è in grado di penetrare i più sofisticati sistemi di difesa ed è dotato di un sistema di navigazione avanzato che consente di colpire con precisione i bersagli e di contrastare la guerra elettronica. Circostanze confermate dal ministro della Difesa iraniano, il generale Aziz Nasirzadeh, che a inizio maggio aveva annunciato alla tv iraniana la capacità del nuovo missile di superare sistemi di difesa come il Terminal High Altitude Defense (Thaad) dell'esercito statunitense, schierato in Israele, i Patriot e altri sistemi impiegati da Israele.
I civili israeliani restano attaccati ai telefoni, seguono nei minimi dettagli le indicazioni delle autorità, le allerte e le sirene. Ma la resilienza non li rende immuni dalla paura. E ora tutto Israele è un obiettivo. A Gerusalemme, dove si susseguono le esplosioni e le corse ai bunker, la Città Vecchia è irriconoscibile. Niente turisti, i negozi chiusi, le barriere davanti alla Porta di Damasco e i luoghi sacri presidiati in maniera massiccia per ragioni di sicurezza. Il Paese aspetta la chiusura del nuovo fronte bellico.
Ma nessuno lo nasconde ormai: ci vorranno settimane. Lo spazio aereo israeliano resterà chiuso fino al 22 giugno. Lo stato di emergenza nazionale è stato esteso fino al 30 giugno. Israele resiste, ma sa che non sarà una questioni di giorni.