A fine dicembre quasi il 62% dei liberiani lo aveva acclamato come nuovo presidente della Repubblica: unico calciatore africano ad aver vinto il Pallone d'Oro, George Weah nel suo Paese è da anni un'icona, una gloria nazionale. Ma da una settimana a questa parte la sua popolarità è in picchiata. Su di lui pende infatti un'accusa gravissima, e cioè essere responsabile della sparizione di un container contenente che 88,3 milioni di euro.
Si tratta di banconote liberiane, il cui valore corrisponde al 5% del prodotto interno lordo nazionale, che erano state fatte stampare tra Cina e Svezia su ordine del governo nel 2016, quando alla presidenza c'era ancora il premio Nobel per la Pace Ellen Johnson Sirleaf. Il «malloppo» risulta effettivamente arrivato a Monrovia nello scorso novembre, ma secondo documenti ufficiali del porto che sono stati passati alla stampa africana il container risulta essere stato sdoganato soltanto tra febbraio e marzo, quando in carica c'era già Weah.
Weah si dice estraneo alla vicenda e dà la colpa all'amministrazione precedente, ma la Sirleaf ha già respinto con sdegno le sue accuse e per l'ex centravanti del Milan aumenta l'imbarazzo. Nella campagna elettorale si era infatti proposto come un paladino dei diritti dei cittadini aveva promesso la massima trasparenza e una dura lotta alla corruzione. E adesso, ovviamente, i suoi detrattori gli rinfacciano tutto.
Per risolvere il mistero sarà avviata un'indagine, ma a questo punto l'opinione pubblica pretende che sia condotta da organi indipendenti. La fiducia nel presidente, come detto, è ai minimi storici. Questa brutta vicenda le ha dato il colpo di grazia ma non è che questi primi nove mesi di governo fossero stati rose e fiori: da quando «King George» ha preso il potere in Liberia, Paese già poverissimo, l'inflazione è cresciuta costantemente al punto che il dollaro locale ha perso il 20% su quello statunitense. E anche in tema di libertà di stampa la società civile e i corporate media internazionali non gli hanno fatto sconti.
Da noi la sua immagine è ancora legata al rettangolo verde, alle prodezze che sapeva regalare in maglietta e calzoncini: venerdì sera la cavalcata di Gervinho contro il Cagliari (un gol segnato dopo aver percorso 82 metri palla al piede) ha immediatamente riportato alla memoria dei tifosi milanisti e non solo la rete - molto simile - che Weah realizzò a San Siro contro il Verona nel 1996.
E anche lui attinge ancora al suo carisma di vecchio campione per puntellare la sua popolarità: appena 12 giorni fa si è tolto lo sfizio di indossare un'ultima volta la maglia della sua nazionale nell'amichevole Liberia-Nigeria. Quando è stato sostituito, dopo 79 minuti giocati contro calciatori in attività, è scattata la «standing ovation»: se i gravissimi sospetti con cui deve fare i conti fossero confermati, potrebbe essere stata l'ultima.
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