«Lo Stato islamico in Siria non è male. I proventi del petrolio li utilizza per aiutare la popolazione e se vai a combattere come mujahed ti danno un salario. Sempre meglio che fare il disoccupato, spacciare o vivere di furtarelli a Bruxelles». Parola di Adolf, nomignolo che apposta ricorda Hitler, di un giovane islamico del distretto di Schaerbeek, a un passo dal centro della capitale belga. Uno dei mega quartieri dove cova la fucina jihadista. Barbetta islamica ben curata e giubbotto di renna si avvicina e ci saluta come «kameraden». L'impressione è che sia uno dei capetti dei giovani della «gabbia dell'orso», una piazzetta da periferia dimenticata. «Se gli ebrei lanciano un missile e ammazzano degli innocenti musulmani nessuno ne parla. Quando i mujaheddin combattono sono terroristi», sentenzia Adolf gesticolando.Un gruppetto di adolescenti del suo giro, di origine maghrebina, conferma che «a Bruxelles ci sono tanti sostenitori di Daesh (Stato islamico ndr), soprattutto fra i convertiti» dal cristianesimo all'Islam. Uno del gruppo sulla ventina, con barbetta rossiccia, taglio da salafita e tuta degli Emirati arabi si è dileguato vedendoci arrivare con una telecamera.Sulla strada di casa, Bartos, polacco di 16 anni, con i brufoli dell'età, un po' intimorito, ammette: «Dopo gli attentati molti hanno paura. Fra di noi, a scuola, c'è chi sostiene che avendoli attaccati in Siria si tratta di rappresaglia».Qualche centinaio di metri più in là, da una palazzina di Rue Max Roos, sono partiti i terroristi suicidi che hanno colpito l'aeroporto e la stazione metropolitana di Bruxelles. Oltre ai fratelli kamikaze, Khalid e Ibrahim El Bakraoui, il capo era Najim Laachraoui. Forse si è fatto saltare in aria pure lui. L'unica certezza è che da orfano di madre aveva frequentato la scuola cristiana della Santa famiglia di Helmet nello stesso quartiere. L'artificiere del terrore è cresciuto con il padre a poche centinaia di metri dal covo. E da Schaerbeek è partito per la Siria.Il Giornale è l'unico ad entrare nella palazzina del covo, dove sono stati trovati 15 chilogrammi di esplosivo, una bandiera nera e altro materiale per confezionare ordigni assieme ad una troupe inglese di Channel 4. I corpi speciali hanno sventrato anche la cantina in cerca dell'arsenale jihadista. Una scala stretta, quasi a chiocciola, è l'accesso obbligato ai cinque piani della palazzina. Gli appartamenti sono vuoti, ma in parte ammobiliati e quasi completamente ristrutturati in maniera signorile con caminetti all'interno. Le porte sono state sfondate dall'irruzione dei corpi speciali dopo gli attentati. Al quinto piano, dove c'era il covo vero e proprio la porta è sbarrata con tanto di nastro della polizia.Ad un certo punto arrivano inferociti e mascherati dei figuri che ci cacciano agitando bastoni. Un africano con il volto coperto urla come un ossesso. Alla fine arriva la polizia per fermare il parapiglia.Molenbeek è un altro mega quartiere della mezzaluna povera e jihadista di Bruxelles. Altrettanto famoso per l'arresto del 18 marzo di Salah Abdeslam, l'unico sopravvissuto della strage di Parigi e in combutta con la cellula di Bruxelles. Nell'enclave musulmana è difficile incontrare una donna che non sia velata. Sulla piazza del municipio dove sventola una delle poche bandiere del Belgio, a parte qualcuna appesa disperatamente alle finestre del quartiere, si affaccia la casa di famiglia dei Salah. Sul campanello c'è sempre scritto il cognome Abdeslam. Dopo 500 metri nelle viuzze, dove raramente si incrocia un poliziotto, è ancora funzionante la moschea «fai da te» ricavata in una stanza che si affaccia sulla strada. In questo centro islamico pregavano i membri delle cellule del Califfo di Parigi e Bruxelles. Basta camminare a zig zag per 800 metri e arrivi al 79 di Rue des Quatres Vents, dove Salah è stato catturato. Il super ricercato per quattro mesi ha abitato accanto a una farmacia, davanti a una panetteria e vicino a un fruttivendolo sull'angolo. Tutti sono esasperati dalla pressione mediatica e nessuno sa niente di lui. «Se usciva di casa era discreto e si nascondeva sempre sotto il cappuccio della felpa. Ma per me questi terroristi sono dei pazzi» spiega Alexander, il fruttivendolo di origini marocchine. Una giovane signora velata ci apre la porta dall'altra parte della strada dicendo «non fate di tutta l'erba un fascio. Ho sofferto come voi per gli attentati. Non abbiamo nulla a che vedere con Salah». Poi, però, per continuare la conversazione dice che deve chiamare il marito ed ottenere l'autorizzazione. Non la sentiamo più.Il caffè Italo-belga è ad 800 metri. Daniele Valastro vive a Molenbeek dal 1997 con una piccola colonia di italiani, in gran parte siciliani. «Salah lo conoscevo di vista. Belga di cittadinanza ed arabo dentro - spiega Valastro davanti alla foto del duomo di Catania -. Gente così si avvicina a moschee improvvisate, dove ti fanno il lavaggio del cervello e diventi un soldato».
A Molenbeek le sacche estremiste assomigliano a una specie di Scampia islamica. Sul muro di fronte a un'altra moschea fai da te, oggi chiusa, ma che ha attirato in Siria decine di volontari della guerra santa, qualcuno ha scritto con lo spray nero: «Vive la revolte».www.gliocchidellaguerra.it- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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