Aveva provato a fare la furbata, ma il giudice l'ha stoppato. «Prima di vendere la società, devi risarcire le vittime. Intanto diamo corso al fallimento», questo il senso della decisione del giudice contro Harvey Weinstein. Che in miseria non ci finirà comunque, ma forse la pianterà di presentarsi in accappatoio davanti ad attrici e attricette dal range qualitativo che da Angelina Jolie precipita fino a Asia Argento.
Fatto sta che lo «scandalo molestie» che ha travolto umanamente il produttore hollywoodiano - simpaticamente ribattezzato «Il Porco» - ha finito con l'asfaltarlo pure finanziariamente. E così la Weinstein Company, la casa cinematografica fondata da Harvey, è destinata a fallire. Questione di giorni. Ieri infatti il procuratore dello Stato di New York ha stabilito le condizioni per l'acquisizione degli studios, e nulla più osta alla dichiarazione della bancarotta societaria. Tutta colpa di quei 70 abusi sessuali (molti veri, altri presunti, altri inventati) di cui Harvey si è reso responsabile durante i suoi lunghi anni di disonorata carriera.
«Il board non ha altra scelta se non adottare l'unica opzione praticabile per massimizzare il valore residuo del società: un processo ordinato di bancarotta», ha spiegato il cda della società al Los Angeles Times.
Un'opzione che vanifica le trattative per l'acquisizione degli studios da parte di un gruppo di investitori guidati da un ex funzionario dell'amministrazione Obama, Maria Contreras-Sweet.
«Gli investitori - spiegano gli analisti economici - avrebbero rilevato la Weinstein Company per una cifra, secondo i report circolati nei giorni scorsi, intorno ai 500 milioni di dollari, prima che il procuratore generale di New York avviasse un'azione legale contro Weinstein, suo fratello e la società per paura che l'imminente vendita potesse lasciare la vittime degli abusi di cui è stato accusato il produttore (che per ora non è ancora imputato) senza un adeguato risarcimento».
Una bomba - quello del Weinstein Sexgate - esplosa da un'inchiesta del 5 ottobre scorso sul New York Times che ha raccolto le prime accuse dopo 30 anni di «non detti» non solo da parte delle vittime, ma anche dell'ambiente hollywoodiano, dove tutti sembravano conoscere le inclinazioni perverse del produttore di film pluripremiati come Sesso bugie e videotape, Pulp Fiction e Genio ribelle. Weinstein è stato costretto ad ammettere le sue colpe e a scusarsi. Chi prima avrebbe fatto carte false per incontralo (anche nel suo letto), lo ha ripudiato. Ma solo quando Harvey è finito nella polvere.
Lo scandalo
ha anche mandato in frantumi il suo matrimonio con Georgina Chapman. Il crac societario (più o meno «pilotato») quanto inciderà sull'assegno di mantenimento per la moglie che l'ha mollato? Ma questo è tutto un altro film.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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