Coronavirus

"Molti infartuati morti soli in casa"

Tragico bilancio del numero uno della società italiana di cardiologia

"Molti infartuati morti soli in casa"

Di tutto hanno voglia i medici fuorché di creare nuovi allarmi. Ma sono preoccupati, molto. Soprattutto dopo un anno in cui hanno visto aumentare le persone morte di infarto in casa, senza nemmeno un tentativo in pronto soccorso. A raccontare la situazione dei malati cardiopatici, tra le categorie più esposte alle complicanze da Covid e tra quelle già normalmente più a rischio ictus o infarti, è Ciro Indolfi, presidente della Società italiana di cardiologia e direttore dell'Unità di ricerca del Cnr dell'Università Magna Graecia di Catanzaro.

L'emergenza Covid ha rinviato molti esami?

«Parecchi. Le visite non fatte sono circa 3 milioni e da marzo 2020 la prevenzione è bloccata. Significa che non abbiamo individuato tutti quei soggetti che presentano fattori di rischio ma che non hanno ancora sviluppato malattie cardiache».

Però in questo anno così assurdo è stata garantita l'assistenza in emergenza per infarti e ictus?

«Purtroppo non sempre. In tanti casi le persone colpite da un infarto sono morte in casa da sole. Nei mesi peggiori di pandemia non sono riuscite a raggiungere l'ospedale e le ambulanze, dedicate interamente ai contagi da virus, non sono arrivate per tempo. Altri disagi sono stati causati dalla carenza di personale e teniamo anche conto che varie cardiologie sono state convertite in reparti Covid. Non solo, uno studio che abbiamo pubblicato sull'European heart journal conferma una riduzione dei ricoveri no Covid del 50%».

Cioè i malati cardiopatici sono stati trascurati?

«Una sanità così inceppata dal Covid rischia di creare più morti di tutta la pandemia. Ogni giorni i malati di cuore che muoiono sono 684. E non dimentichiamo che le malattie cardiache sono la prima causa di morte in Italia. L'aumento della mortalità ospedaliera per infarto è triplicata».

Cosa servirebbe per riprendere le fila delle cure?

«Occorre un vero e proprio piano Marshall della sanità italiana. Dopo un anno di guerra al Covid è ora di ricostruire e ripensare con un po' di lungimiranza ciò che non va».

Ad esempio?

«Abbiamo venti sanità diverse a seconda della regione in cui ci troviamo e questo non va bene. Stiamo pagando le colpe di un sistema sanitario abbandonato da almeno una decina di anni e in cui è mancato il potenziamento della medicina territoriale. Chi governa deve aumentare i finanziamenti per impostare un programma di recupero forte. Solo così potremo recuperare tutte le visite non fatte e i pazienti persi. Ora in Italia c'è troppo disordine».

Come la mettiamo con la mancanza di personale che già c'era prima della pandemia?

«I cardiologi sono pochi e abbiamo avuto il blocco delle assunzioni. Insomma, siamo in una situazione drammatica. Bisogna assumere più medici per recuperare l'enorme gap».

Come procedono le vaccinazioni ai malati cardiopatici?

«I pazienti ad alto rischio sono stati vaccinati poco e tardi. Eppure se vengono colpiti da Covid hanno il doppio delle possibilità di morire rispetto a un giovane. Il decreto ministeriale per impostare la campagna vaccinale ci ha suddivisi per età e ha definito come paziente fragile solo chi è già in ospedale e quindi è grave. La classificazione ha lasciato fuori molti cardiopatici».

Sono quelli tra i 60 e i 70 anni?

«Si e devono ancora essere vaccinati.

Sono quelli più a rischio».

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