
La storia delle stragi di mafia che hanno insanguinato gli anni Novanta va riscritta, i magistrati che se ne sono occupati avevano spettri nell'armadio, amicizie pericolose e parentele discutibili ma nessuno li ha fermati. Se confermata da riscontri annunciati per i prossimi giorni, la seconda parte della deposizione dell'ex capo dei Ros Mario Mori in commissione Antimafia davanti al presidente Fdi Chiara Colosimo riscrivebbe «la lista dei buoni e dei cattivi», per usare l'espressione dell'azzurro Maurizio Gasparri, che abbiamo imparato sfogliando l'album giudiziario e le sentenze che hanno scagionato Mori e il braccio destro Giuseppe De Donno dall'accusa di aver favorito Cosa Nostra.
Alla sbarra invece per i due andavano portati alcuni magistrati: «I due capi delle Procure più importanti della Sicilia, Pietro Giammanco e Gabriele Alicata» per i loro rapporti «con i discussi esponenti politici Mario D'Acquisto e Salvo Lima»; il magistrato agrigentino Fabio Salamone e l'inchiesta sul fratello Filippo, «uno dei maggiori protagonisti nel condizionamento illecito degli appalti pubblici in Sicilia»; la parentela di Francesco Messineo con Sergio Maria Sacco, fratello della moglie, «più volte indagato per mafia e sempre scagionato» poi «condannato per associazione per delinquere finalizzata alla ricettazione», d'intesa «con il boss mafioso di Partinico Vito Vitale»; l'aggiunto di Palermo, Vittorio Aliquò, la cui cognata «collaborava con il commercialista dei boss Pietro Di Miceli, amico di Gianmanco»; il «conflitto d'interessi» di Giuseppe Pignatone (già indagato dalla Procura di Caltanissetta, ndr) per un'indagine Ros «che coinvolgeva suo padre Francesco»; i rapporti tra il pm Guido Lo Forte e un imprenditore in odore di mafia da cui avrebbe comprato casa. Come a dire che su loro l'ombra del sospetto rimase tale, sui due ufficiali si sarebbero costruiti processi farsa.
Poi ci sarebbe l'archiviazione frettolosa del dossier mafia-appalti, su cui sappiamo stava indagando Paolo Borsellino, a Ferragosto; lo strano smembramento di un'indagine a Catania; il mancato collegamento tra mafia-appalti, l'inchiesta di Massa Carrara e Tangentopoli; i rapporti dei Ros «girati» alle cosche; la mancata collaborazione con la Procura, con l'Arma estromessa da importanti inchieste, il ruolo di alcuni giornalisti che solo tardivamente ammettono «la piena conoscenza dei rapporti malati tra politica e istituzioni di quell'epoca».
Dagli strali dei due non è stato risparmiato né il «nemico» giurato di Giovanni Falcone Leoluca Orlando né Fabio Repici, il legale di Salvatore Borsellino per cui è «priva di fondamento» la pista del mafia-appalti come vero movente dietro la morte dei due giudici.
«Da Mori solo balle», insorgono i grillini, che con un controdossier di 90 pagine provano (fuori tempo massimo) a smontare la narrazione del generale, aiutati nella loro ricostruzione dall'onorevole M5s Guido Scarpinato, e a rinviare l'audizione dei due. Il centrodestra è insorto: «Dopo dieci anni di ingiusti processi, dai quali sono stati assolti ora dà fastidio che dicano clamorose verità», dice ancora Gasparri.
«Non permetterò a nessuno di seppellire le indagini su Capaci e Via D'Amelio sotto una montagna di carte - sottolinea al Giornale la Colosimo - Quelle stesse carte e ricostruzioni già ampiamente smentite nel corso di questi anni». La commissione lavorerà a 360 gradi, «nessuna pista è esclusa; e tutte le strade verranno percorse, ma nei tempi e nei modi che la commissione Antimafia merita», insiste la parlamentare Fdi.
In questo clima avvelenatissimo qualcuno ricorda anche la recentissima indagine proprio dei Ros che partendo dall'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro è arrivato a sporcare la credibilità dello storico braccio destro di Pignatone come Michele Prestipino, ormai ex numero due della Procura nazionale antimafia, accusato di «rivelazione di segreto d'ufficio» in una serie di indagini sul Ponte tra Sicilia e Calabria che così facendo avrebbe favorito i boss. Un altro «buono» diventato «cattivo». Per ora soltanto sui giornali.
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