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La morte di Balzerani sequestratrice di Moro

La brigatista non s'è mai pentita: era nel commando che rapì lo statista Dc e il generale Dozier e uccise il sindaco Conti

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L'ultima polemica era esplosa nel 2018, in occasione del quarantesimo anniversario del rapimento di Aldo Moro. Maria Fida, figlia dello statista ucciso dai terroristi, aveva puntato il dito proprio contro di lei: «Che palle il quarantennale, lo dico io. Non Barbara Balzerani. Loro, i brigatisti dovrebbero starsene zitti». Maria Fida Moro è scomparsa poche settimane fa, ieri è morta anche Barbara Balzerani che aveva partecipato giovanissima al sequestro del leader democristiano. E che Maria Fida aveva punto con parole dure, esprimendo tutto il suo sconcerto per quello che era accaduto negli ultimi anni: «Io posso lamentarmi del quarantennale, io che l'ho subito, ma la signora Barbara Balzerani non può dirlo perché lei è fra coloro che l'hanno provocato. E quindi si tiene i risultati di quanto messo in atto».

In realtà, al di là delle terribili ferite personali, Moro junior coglieva una sorta di capovolgimento nell'opinione pubblica: i vecchi brigatisti in cattedra e ai convegni, lei e gli altri figli di chi non c'era più nella penombra del dolore e del disinteresse generale.

Certo, con Barbara Balzerani se ne va uno dei leader delle Br. Romana di Colleferro, classe 1949, entra in clandestinità nel 1977. È fra i membri della colonna romana che gestisce l'attacco allo Stato in via Fani, porta via Moro e lo uccide dopo una lunga prigionia. Sopravvive alle retate degli anni successivi e anche all'arresto di Mario Moretti, il capo dell'organizzazione cui è legata sentimentalmente e con cui ha condiviso il celebre covo di via Gradoli.

C'è sempre lei nella squadra che sfida gli americani portando via il generale James Lee Dozier, e ancora prova a guidare la scissione, fallimentare, della componente che prende il nome di Brigate rosse - Partito comunista combattente. Poi, nell'85, viene ammanettata e il mito evapora.

Ma anche in carcere tiene duro, mentre l'apparato militare, considerato quasi invincibile, si squaglia fra arresti e pentimenti. Dalla cella rivendica l'assassinio del sindaco di Firenze Lando Conti. Ormai siamo ai titoli di coda di una stagione feroce che ha devastato per lunghi anni il Paese. Tecnicamente, non si è mai pentita. Ma nel 1987 insieme a Moretti e Renato Curcio compare sugli schermi Rai, in un'intervista collettiva condotta da Ennio Remondino, per dire che la storia delle Br è arrivata all'epilogo. Nel 1993 fa di più: afferma di provare «un profondo rammarico per quanti sono stati colpiti nei loro affetti a causa di quegli avvenimenti e per quanti continuano a sentirsi offesi ad ogni apparizione pubblica di chi, come me, se ne è reso e dichiarato responsabile».

Nel 2006 a lei, ergastolana, viene concessa la libertà condizionale. Nel 2011 è completamente libera. Restano quelle apparizioni ingombranti. E oggi, alla notizia della sua scomparsa dopo una lunga malattia, un pensiero di pietà da parte di Giovanni Ricci, figlio del carabiniere Domenico, morto in via Fani: «Non provo odio, perché l'odio distrugge.

Pregherò per lei, perché ovunque sarà possa essere accolta».

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