È successo ieri mattina, a Lagonegro (Potenza), nella villa di Pino Mango, dove era in corso la veglia funebre per la morte del cantautore. Il fratello maggiore di Pino, Giovanni, Muratore, 75 anni, si trovava lì quando all'improvviso ha accusato un malore. Il tempo di trasportarlo in ospedale e poco dopo è deceduto. Probabilmente un infarto, dicono i medici. Sarà l'autopsia a stabilire se la fine di Giovanni sia da imputare al cuore che si è fermato all'improvviso, come quello del famoso fratello. Ma i pensieri che questo tragico evento ci ispira non possono attendere i risultati dell'autopsia. Togliamoci allora dalla testa i film e i libri polizieschi e i troppi cattivi racconti dei giornalisti, che ci lasciano intendere sempre qualcosa che sta dietro le quinte, un losco disegno, una trama oscura, insomma qualche cattiva intenzione capace di produrre strane coincidenze. La realtà non è un teorema, e spesso si può morire così, e si muore così: di dolore, e di dolore per amore.
La notizia, se ci pensiamo, è insolita solo perché siamo diventati insoliti noi, perché molto più spesso di quanto crediamo si verificano casi come questo: proprio poche ore fa un amico mi ha telefonato per annullare un appuntamento in quanto i suoi nonni paterni stanno morendo insieme. Pensiamoci: succede spesso, spessissimo. Forse è successo in tutte le nostre famiglie.
Bene, io spero di non essere offensivo verso qualcuno se dico che, in questa indubbia tragedia c'è una notizia se non lieta, certamente positiva, ed è questa: che il nostro cuore non batte per niente. C'è qualcosa che lo fa battere, e più questo qualcosa diventa chiaro e più anche ciò che lo fa smettere di battere diventa meno terribile.
Pino Mango è morto cantando, è morto nel pieno della sua attività, facendo quello per cui ha vissuto. Lui, a differenza di tanti, ha potuto realizzare un sogno, fare il mestiere che desiderava fare, ed è morto facendolo, come diceva Marcello Marchesi: bisogna che la morte ci trovi vivi. E Pino Mango è stato trovato vivo, vivissimo da sora Morte: addirittura con le scarpe ai piedi.
Vi sembra poco? Io stesso prego tutti i giorni di poter morire con le scarpe ai piedi, anche se è un privilegio concesso a pochi. Ma la morte di Giovanni, del fratello Giovanni, è ancora più grande, ancora più straordinaria. Giovanni non è morto cantando, non è morto facendo semplicemente il suo lavoro (che è già tanto): è morto amando. Si trovava nella villa di suo fratello innanzitutto perché amava suo fratello, e io vi prego, se potete, di non dare questa cosa per scontata.
Qui di scontato non c'è niente. Questo fratello maggiore dalla vita umile, che ha tenuto in braccio il fratellino, forse lo ha accudito quando era piccolo, e poi lo ha visto crescere e imboccare la strada che lo ha portato al successo, e ha gioito di questo successo...
Tutti sentimenti semplici ma terribilmente seri e impegnativi, tanto che la nostra quotidiana infelicità sta nel non riuscire ad essere seri come vorremmo di fronte ad essi. Ci limitiamo a qualche emozione, stando bene attenti che questa emozione non superi i confini dell'istante che l'ha prodotta. Abbiamo fretta di passare ad altro, sempre ad altro. Non è colpa nostra, è la vita, è colpa sua...
Ecco, dunque: morire di dolore. Non solo accade, ma è un privilegio. Solo un cuore ricco e pieno di belle cose muore di dolore.
La morte di Giovanni ha raddoppiato lo strazio di quella famiglia, però l'immagine che ci viene restituita è quella di una famiglia vera: non una famiglia di gente che si scanna, di mariti che strangolano le mogli o di madri che uccidono i loro bambini (a questo sembrano essersi ridotte le famiglie, oggi), ma una famiglia che è stata capace di coltivare quella cosa per cui la famiglia esiste, ossia l'amore e il rispetto.Perciò adesso rispettiamoli, e se possibile ringraziamoli: da questa triste storia nasce un po' di stima in più per i nostri simili e per il nostro povero Paese.
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