Gian Micalessin
Si chiamava Khalifa Haftar, aveva 75 anni, la divisa e la guerra erano la sua vita. «Sono un combattente e mi batterò fino alla fine per il mio paese» aveva detto qualche anno fa in un'intervista a Il Giornale. Invece è spirato nel letto d'un ospedale di Parigi abbattuto da un infarto. Aveva combattuto per Gheddafi in Ciad. E poi contro di lui quando - prigioniero nelle mani dai Ciadiani - venne rinnegato dal Colonnello che addossò a quel Capo di stato maggiore in catene le colpe della disfatta. Liberato grazie alla Cia non esitò a mettersi al servizio di Langley nel tentativo, sempre fallito, di disarcionare quel rais con cui era stato protagonista della Rivoluzione Verde. Nel 2011 tornò in patria e si presentò a Bengasi per guidare la cosiddetta «rivoluzione», ma venne messo subito in disparte per ordine dei capi islamisti. Da quel momento dedicò tutte le sue forze e per il suo impegno combattere i Fratelli Musulmani, l'Isis e le altre milizie jihadiste padrone di Bengasi e della Cirenaica.
Con il generale Khalifa Haftar, il discusso Capo di stato maggiore dell'esercito di Tobruk convinto in cuor suo di esser l'unico vero successore del Colonnello, se ne va la figura più controversa della Libia del dopo Gheddafi. La Francia di Emmanuel Macron sfruttando la sua immensa ambizione, non aveva esitato a usarlo contro l'Italia nel tentativo di sminuire il nostro ruolo nell'ex-colonia e mettere le mani su petrolio ed affari. Successe la scorsa estate. Fino ad allora la comunità internazionale e Parigi avevano rispettato gli accordi raggiunti con l'Italia che riconoscevano l'esclusiva legittimità del governo di Tripoli Facendo leva sulle ambizioni presidenziali di Haftar convocò i due contendenti a Parigi per convincerli a firmare un patto, garantito dalla Francia e tagliare fuori il nostro paese. Del resto Haftar non ci amava. Disconosciuto dal nostro governo aveva più volte minacciato di bombardare le nostre navi nel caso di un intervento della nostra Marina per bloccare i barconi dei migranti. Lo scorso settembre d'intesa con la Francia non esitò ad attaccare le milizie di Sabratha pagate dai nostri servizi di sicurezza per bloccare le partenze dei migranti. Ma Haftar oltre ad essere l'uomo di Macron era anche la pedina su cui puntavano la Russia di Vladimir Putin, gli Emirati Arabi e l'Egitto del presidente Sisi. Tutti e tre quei padrini avevano contribuito ad armarlo e finanziarlo perché vedevano in lui l'antidoto migliore al contagio islamista. Haftar non li aveva delusi strappando alle milizie islamiste Bengasi e molte altre località della Cirenaica. Con lui scompare il più deciso nemico del fanatismo jihadista e si riaprono le incognite per tutte le zone orientali del paese minacciate dall'Isis e dalle fazioni armate legate ad Al Qaida. Qui il terrorismo jihadista e persino lo Stato Islamico potrebbero trovare spazio per risorgere se non si troverà un generale o un leader in grado di rimpiazzarlo. Ma non sarà facile. Con la sua morte si apre un vuoto di potere che ben difficilmente potrà venir colmato dalle incolori figure del parlamento in esilio a Tobruk. Un vuoto di potere che mette a rischio la tanto rivendicata indipendenza della Cirenaica.
Di certo chi tira un sospiro di sollievo è il debole governo di Tripoli lasciato per il momento senza rivali e concorrenti. In questo vuoto di potere si riaprono invece i giochi per Saif Gheddafi, il figlio ormai libero e riabilitato che papà Muhammar aveva già designato come suo legittimo erede.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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