Mosca-Kiev, guerra di tribunali. Ergastolo al soldato-ragazzino. "Azov processati a Mariupol"

La guerra "processata" per via giudiziaria è uno spettacolo grottesco

Mosca-Kiev, guerra di tribunali. Ergastolo al soldato-ragazzino. "Azov processati a Mariupol"

La guerra «processata» per via giudiziaria è uno spettacolo grottesco. Ottimo, forse, per tacitare le nostre coscienze e crearci un alibi dinanzi alla giuria della Storia, ma illusorio sul piano della verità e dei fatti e delle responsabilità personali. Da Norimberga in poi abbiamo cinicamente imparato che portare alla sbarra i presunti autori di delitti e torture è un esercizio ipocrita, perché le regole dei tribunali sono opposte alle barbarie dei conflitti bellici: nei primi vigono le leggi del diritto; nei secondi l'illegalità dell'orrore. E immaginare di applicare la civiltà delle norme alla criminalità delle trincee è funzionale solo a uno show mediatico per propagande contrapposte.

Un soldato ucraino, imputato dinanzi a una corte russa, sarà in ogni caso un criminale di guerra; esattamente come un soldato russo lo sarà al cospetto di una corte ucraina. Il nemico resta sempre tale e verrà condannato a prescindere: verdetto «già scritto», sigillo a un iter che è opposto al percorso di legalità.

Non si può che partire da questa premessa per analizzare obiettivamente il processo che ieri ha condannato all'ergastolo il primo il primo soldato russo condannato all'ergastolo. Si tratta del sergente Vadim Shishimarin, 21 anni: l'età perfetta per definirlo, cinicamente, un «baby criminale di guerra». La sentenza è stata emessa dal tribunale di Kiev che lo ha ritenuto colpevole dell'uccisione di Oleksandr Shelipov, un civile di 62 anni disarmato colpito alla testa il 28 febbraio nel villaggio di Chupakhivka.

Il tribunale ucraino ha considerato l'omicidio «premeditato», respingendo la tesi della difesa secondo cui «il soldato ha eseguito l'ordine perché era stato impartito da un suo superiore». Shishimarin si è scusato con la vedova della vittima, chiedendole perdono: «Sono sinceramente pentito. Ero nervoso in quel momento, non volevo uccidere. Però è successo». Come in guerra accade ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Provocando migliaia di vittime. Che aumentano nel corso dei mesi, o degli anni. Ma la corte ucraina aveva bisogno di un capro espiatorio, uno che pagasse per tutti. Possibilmente a favore di telecamera. E chi meglio del «criminale bambino», Shishimarin, con quella faccia da adolescente? L'avvocato difensore ha dichiarato ai giudici che Vadim «ha sparato dopo essersi rifiutato per due volte di eseguire l'ordine», ma nessuno dei togati poteva, o voleva, credergli. E sarà questo lo stesso atteggiamento che, a parti invertite, avranno pure i «giudici» russi che si apprestano a processare, a Mariupol, i combattenti ucraini dell'acciaieria Azovstal fatti prigionieri dall'esercito di Putin dopo la riconquista dell'acciaieria di Mariupol, uno dei momenti più drammatici del conflitto. Dove, secondo la procuratrice generale ucraina, Iryna Venediktova, sarebbero avvenuti «oltre 13mila casi di presunti crimini di guerra russi» e altri 48 militari andranno alla sbarra. Intanto si continua a parlare di un ipotetico «scambio» tra i militari ucraini catturati ad Azovtal (e che Putin considera «trofei di guerra» da esisbire al mondo) e l'oligarca filo-russo (ma ora forse passato al nemico) Viktor Medvedchuk nelle mani degli ucraini.

Secondo fonti di inteligence, Medvedchuk, depositario di molti segreti «putiniani», starebbe patteggiando con gli ucraini la propria salvezza in cambio di informazioni sullo Zar Vladimir, i suoi piani segreti e il suo più stretto entourage familiare e politico. Ma se ciò corrispondesse a realtà, a volere la morte dell'ex amico Viktor, sarebbe proprio Putin.

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