La resa di centinaia di militari ucraini nell'acciaieria Azovstal sembrava aver aperto qualche spiraglio. Ci si interrogava e tuttora ci si interroga con un misto di incertezza e speranza su quale tipo di intesa non dichiarata russo-ucraina potesse esserci alla base di uno sviluppo inatteso. Ma per quanto possa piacerci l'ipotesi di un'apertura a qualcosa che almeno somigli a un dialogo tra le due parti, i portavoce ufficiali di Mosca e di Kiev continuano a parlare in pubblico la sterile lingua del muro contro muro. Lo hanno fatto ieri, da parte russa, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov (più il suo vice Andrei Rudenko per buona misura) e il portavoce del Cremlino Dmitry Peshkov, e ha fatto loro eco da Kiev il consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, che ricopre anche il ruolo di capo negoziatore ucraino. Lavrov non si è limitato a dire che i colloqui tra le due parti sono attualmente «inesistenti in qualsiasi forma». Ha aggiunto che l'ipotesi di spostare il processo negoziale da Kiev a Washington o a Londra è destinata a non dare frutti, perché né loro né l'Occidente nel suo insieme stanno facendo proposte concrete. Rudenko ha precisato che Kiev si sarebbe «praticamente ritirata dal processo negoziale».
Più interessante, con un occhio agli sviluppi di Mariupol, la dichiarazione del portavoce di Vladimir Putin. Peshkov ha affermato che «ogni guerra finisce con una pace», dicendosi sicuro che «la posizione della Russia verrà ascoltata». Ma subito dopo, quasi a voler spegnere le illusioni di chi avesse voluto leggere nelle sue parole un'apertura al dialogo, ha ripetuto lo slogan mille volte già sentito dallo scorso 24 febbraio: l'operazione speciale in Ucraina conseguirà tutti i suoi obiettivi. Come a dire: un giorno o l'altro ci parleremo, ma solo dopo che avremo messo le cose a posto a modo nostro. Per la verità, anche l'ucraino Podolyak ha espresso ieri con parole quasi identiche a quelle di Peshkov il concetto della fine naturale di ogni conflitto a un tavolo di trattative: il che può anche essere una felice coincidenza. A quel futuro tavolo, ha precisato, il mediatore ucraino potrà essere lo stesso presidente Volodymyr Zelensky. Anche Podolyak, però, ha subito dopo chiuso le porte alle illusioni: il negoziato è attualmente «in pausa», dopo l'incontro di Istanbul non c'è stato alcun progresso perché la Russia rimane ferma sulle sue «posizioni stereotipate». Ma soprattutto, ha concluso il primo consigliere di Zelensky, «noi non siamo disposti a cedere su nulla per salvare la faccia di Putin, la nostra società ha già pagato un prezzo enorme».
Gli ottimisti sul piano diplomatico traggono poco di cui rallegrarsi anche dai colloqui tra Zelensky e i leader europei. Ieri il presidente ucraino ha parlato al telefono con il presidente francese Emmanuel Macron e con il cancelliere tedesco Olaf Scholz. La conversazione con Macron è durata più di un'ora, e da Parigi è giunta rassicurazione che le consegne di armi e di aiuti umanitari da parte della Francia continueranno e aumenteranno nelle prossime settimane.
Anche da Scholz, nessuna ambiguità: ha concordato con Zelensky che una soluzione diplomatica tra Ucraina e Russia potrà esserci solo dopo la fine dell'aggressione e un ritiro delle truppe russe. I due leader hanno convenuto di rimanere in contatto per definire ulteriori forme di sostegno a Kiev da parte della Germania.
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