Per comprendere la posta in gioco dello scontro di potere che si svolge dietro la «Mosca Connection», cioè la storia dei presunti fondi che sarebbero arrivati alla Lega dal Cremlino attraverso quel mezzo «piazzista» che risponde al nome di Gianluca Savoini, bisogna stare appresso ad una mezza battuta di un giramondo della politica, che ha addentellati in Europa, come Pierferdinando Casini. «Mi sa tanto sussurra in un angolo di Palazzo Madama che alla fine la Lega manderà un personaggio alla Moavero in Europa, per non rischiare di vedersi bocciare uno dei suoi». Una previsione quella di Casini che non nasce da congetture o opinioni personali, ma da una confidenza che il più immarcescibile degli ex Dc ha raccolto direttamente dal candidato di Salvini per il ruolo di commissario alla Concorrenza, Giancarlo Giorgetti. «Io sono indeciso si è sfogato l'attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio perché non voglio mica farmi silurare in Europa. Ed è chiaro, guarda questa storia della Russia, che quelli lì ce la vogliono far pagare».
Quell'intercettazione del 18 ottobre scorso, pubblicata oggi dal sito americano Buzzfeed, cade, infatti, proprio alla vigilia della nomina dei nuovi commissari e non sono pochi quelli che, in Europa (a cominciare dai francesi e dai tedeschi) e nel Mondo, vogliono usarla per appiccicare ai leghisti la patente di «inaffidabili», per impedirgli di ricoprire un ruolo strategico come il Commissario alla Concorrenza. Nel Carroccio ne sono convinti. «Stanno andando dietro a delle chiacchiere da bar se la prende l'ex sottosegretario, Edoardo Rixi, che ha pagato di persona la pressione giudiziaria che c'è attorno alla Lega per una logica perversa a livello internazionale. Non è la prima volta che si inventano qualcosa per tenere il nostro paese sotto scacco mentre è in corso la trattativa per i commissari Ue. È storia vecchia». «Quando sali di categoria a livello internazionale osserva Marco Maggioni, altro leghista della corte di Salvini diventi un bersaglio. Se poi punti ad avere il Commissario Europeo per la Concorrenza che decide se Soros può fare una fusione bancaria o meno nel vecchio continente, se Macron può permettersi una fusione tra un'azienda francese e una tedesca, o quant'altro, ti trasformi in un bersaglio grosso».
Con l'aria che tira è evidente che la possibilità di avere un leghista doc in quel ruolo sta diventando una scommessa. Le premesse si sono viste già dall'esclusione degli esponenti del Carroccio dalle presidenze delle commissioni a Strasburgo. E per non incorrere in una sorta di ostracismo anche nell'organismo di governo Europeo (la Commissione), c'è chi nella Lega dal capogruppo nel Parlamento Ue, Marco Campomenosi, al neo ministro per gli Affari Ue, Lorenzo Fontana - invoca una sorta di pragmatismo strategico: «Potremmo anche votare la candidata alla presidenza della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, - è il succo dei loro ragionamenti se popolari e socialisti ci assicurassero il via libera a Giorgetti come Commissario alla Concorrenza».
Una scommessa che ha il sapore dell'azzardo. Ma in fondo la tecnica dell'«azzardo» ha spesso pagato Salvini, almeno in termini di consenso. E di azzardi il vicepremier leghista ne sta collezionando parecchi. Ad esempio, la riduzione dei parlamentari approvata in terza lettura ieri dal Senato (manca solo l'ultimo sì della Camera), è anche una vittoria leghista, visto che è nel Dna di una forza populista. Solo che dal punto di vista strategico potrebbe rivelarsi un boomerang, perché rischia di diventare un ostacolo per il leader del Carroccio, qualora decidesse di staccare, prima o poi, la spina a questa legislatura. «Salvini sostiene l'azzurra Gabriella Giammanco ha commesso un azzardo populista, visto che non credo voglia far eleggere il successore di Mattarella da questo Parlamento. Con la riduzione dei seggi, infatti, rischia di vedersi sbarrare la strada per le elezioni anticipate da tutti quelli che non avrebbero nessuna chance di essere rieletti». «È oggettivo che la riforma ragiona l'ex segretario Cgil e ora deputato Leu, Guglielmo Epifani renda meno probabili le urne anche in prospettiva, perché il partito trasversale del non voto si alleerebbe con il partito di Mattarella, che ha radici tra i piddini e i grillini, che vuole eleggere il successore del capo dallo Stato in questa legislatura».
Anche su questo terreno, però, il vicepremier leghista fa una scommessa. Intanto non è detto che la riforma non abbia un effetto opposto: c'è chi insinua in sintesi il piddino Emanuele Fiano potrebbe essere tentato di andare al voto prima che la legge entri in vigore (c'è sempre l'arma del referendum per perdere tempo) in modo da rinviare la riduzione dei parlamentari ad una legislatura successiva. Ma a parte questi calcoli, qualora decidesse di andare al voto, Salvini punterebbe su un altro azzardo: «Voglio vedere domanda spesso all'inner circle se qualcuno avrebbe il coraggio per evitare le elezioni di fare un governo senza di noi, senza il partito che rappresenta il 40% del Paese». Probabilmente ha ragione, dato che nessuno nel Pd si sente di scommettere su un «governo tutti contro Salvini». Fiano storce il naso già solo all'idea, come pure Lorenzo Guerini. Senza contare che buona parte dei renziani, ancora oggi, esclude ogni ipotesi di alleanza con i 5stelle: quel rapporto sotterraneo, continuo e discreto, tra i due Mattei della politica italiana, si basa proprio su questo presupposto.
Ecco perché, di fatto, il vicepremier leghista può continuare il progetto che coltiva da sempre, l'ennesima scommessa, cioè di andare in uno schema quasi militare - alle elezioni politiche nella primavera del 2020, dopo aver espugnato la roccaforte per eccellenza della sinistra italiana, l'Emilia rossa. Il leader leghista, infatti, sta accumulando una serie di dossier che lo vedono deluso dal comportamento di questo governo, a cominciare dall'Autonomia di Regioni come Veneto e Lombardia, che stenta a decollare. Anche sulla manovra continua a tenere in caldo, a dispetto dei grillini, la «flat tax», magari disposto a votare in autunno una manovra che non la contenga solo per senso di responsabilità, ma pronto a gridare ai quattro venti che sarebbe un grave sbaglio. Poi se a gennaio la Lega riuscirà ad eleggere un suo uomo governatore dell'Emilia Romagna, punterà dritto alle urne illustrando agli italiani il «cahier de doléances» di tutte le cose che il governo Conte non ha fatto e che dovrà fare il governo Salvini: più o meno lo stesso copione che l'altro Matteo fece con Enrico Letta, ma non commettendo l'errore qui c'è la differenza - di andare a Palazzo Chigi senza un'investitura popolare. Per cui tutto dipende dal voto in Emilia, dove il Pd si giocherà la possibilità di fermare Salvini come i greci alle Termopili con i Persiani. «Certo ammette l'ex governatore Vasco Errani sull'Emilia ci giochiamo tutto.
Ma differenza che in altre regioni ce la possiamo giocare». Sarà, ma francamente è difficile, anche ricorrendo alla fantasia più ardita, immaginare Nicola Zingaretti con la tunica, il mantello cremisi, lo scudo di bronzo e la spada corta di Leonida.
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