L a palla di fuoco rossa esplode verso il cielo per un centinaio di metri. Il boato e lo spostamento d'aria ci investono, come il soffio della morte. Il kamikaze al volante della macchina minata si è fatto esplodere a 200 metri di distanza. Dal fuoristrada osserviamo la scena con terrore. Pochi minuti prima gli agenti della polizia federale si erano messi a urlare «tre autobombe in arrivo» facendoci salire in fretta e furia sui mezzi per partire a tutta velocità. Nella battaglia di Mosul le bandiere nere lanciano i loro arieti suicidi nel disperato tentativo di fermare l'offensiva delle truppe irachene.
Le unità della divisione di reazione rapida e la polizia federale avanzano verso la moschea di Al Nuri, dove Abu Bakr al Baghdadi ha proclamato il Califfato nell'estate di due anni fa. Dai tetti stando attenti a non farci inquadrare dai cecchini ceceni vediamo il minareto pendente della moschea circondato dal fumo bianco e nero delle esplosioni. Sopra le nostre teste volano radenti gli elicotteri d'attacco di fabbricazione russa delle forze irachene. I rapaci d'acciaio vomitano razzi e una valanga di fuoco dai loro cannoncini sul muso contro le postazioni delle bandiere nere attorno all'obiettivo simbolo di questa battaglia. Sembra una specie di Apocalypse now in salsa locale sulla fine del Califfato in Irak. Gli Scorpioni, i corpi speciali addestrati dagli incursori italiani, sono riusciti a penetrare nel bazar della città vecchia. Un dedalo mortale di viuzze, dove sarà sanguinoso avanzare fino alla moschea, che oramai si trova a 500-600 metri ed è semi-circondata.
«Daesh kaputt, Daesh kaputt», lo Stato islamico è finito, urla un soldato iracheno facendo con la mano il segno della gola tagliata. La sua unità si è aperta un varco combattendo oltre il ponte Huria (della libertà), il terzo sul Tigri, afflosciato dai bombardamenti. L'incrocio da dove ieri è ripartita l'avanzata sembra uscito da un film sulla fine di Berlino nel '45. La strada è lastricata di macerie e i palazzi sono scarnificati dai combattimenti. La scorsa settimana il carro armato che lo presiede ha tirato una raffica di cannonate verso un nido di cecchini delle bandiere nere, poche centinaia di metri più in là. Un blindato era stato centrato da un tiratore scelto dello Stato islamico.
Dopo la decima cannonata il fischio di tre razzi katiusha ci ha fatto correre un brivido lungo la schiena, mentre sibilavano sopra le nostre teste. Uno è esploso in mezzo ai blindati a ridosso dell'incrocio, a pochi metri dal negozio dove avevamo trovato riparo. Il boato e lo spostamento d'aria ci ha fatto barcollare. Un fumo denso e grigio avvolgeva tutto. I soldati urlavano e dalla nebbia del fumo acre, che pizzica la gola, provocata dal razzo sono emersi in quattro che trascinavano un corpo maciullato.
La stazione dei treni sul fianco sinistro dell'avanzata, che punta a conquistare la moschea Al Nuri, è polverizzata dai combattimenti. Lunghe file di vagoni abbandonati sulle rotaie. Carcasse di macchine carbonizzate bloccano come barricate le strade d'accesso. La polizia federale è avanzata nelle ultime ore per stringere il cerchio attorno alla moschea. Assieme a un manipolo di giovani agenti in mimetica blu chiazzata, che deve portare rancio e rifornimenti in prima linea, corriamo in fila indiana fra i detriti di un paesaggio lunare. Ogni tanto la sparatoria si infiamma mescolandosi ai botti dei mortai. Si avanza di casa in casa attraversando una strada deserta in coppia, per confondere i cecchini, come velocisti con il fiato in gola. I cadaveri abbandonati dei miliziani dello Stato islamico ammorbano l'aria di un lezzo dolciastro. Alcuni corpi vengono bruciati. In un vicolo troviamo un'utilitaria spazzata dai proiettili con la targa imposta ai civili dalle bandiere nere: «Islamic state».
L'avamposto sulla linea del fuoco è ricavato in una casa di tre piani. Come saliamo le scale i seguaci del Califfo tirano un razzo Rpg che esplode poco distante con un botto fragoroso. Un poliziotto si piazza sul tetto con la mitragliatrice sparando sventagliate alla Rambo. Il maggiore Raed è stupefatto che due giornalisti siano arrivati fino al suo avamposto e ci accoglie come eroi. Poi spiega, come se fosse normale, che «il nemico è sui tetti a 75 metri da noi. Si combatte casa per casa a colpi di bombe a mano, ma continueremo ad avanzare».
Nelle ultime 48 ore sono stati liberati due quartieri e catturato Hossam Shiit al Jubouri, il capo della polizia religiosa del Califfato.
Con il calare della sera torniamo verso la stazione dei treni correndo a zig zag fra gli unici ripari, le colonne delle pensiline ancora intatte. Dalla fetta di Mosul Ovest in mano allo Stato islamico si alzano le colonne di fumo nero dei bombardamenti e la cantilena del muezzin che chiama alla preghiera contro gli infedeli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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