M ps va alla resa dei conti: oggi il cda decide se intraprendere un ultimo tentativo di salvataggio passando dal mercato o accettare che la banca più antica del mondo sia nazionalizzata. Le ipotesi al vaglio, dopo il no ufficioso della Bce alla richiesta di tempi supplementari per portare a termine il necessario rafforzamento patrimoniale, sono relativamente poche, sottoposte per di più a numerose variabili e interpretazioni normative. E il tempo stringe: il rafforzamento patrimoniale per 5 miliardi di euro complessivi deve avvenire entro il 31 dicembre.
A Siena non si esclude un tentativo estremo di procedere comunque, entro probabilmente fine settimana (Consob permettendo), alla prevista ricapitalizzazione di mercato, preceduta dalla riapertura dei termini di adesione alla proposta di conversione dei bond subordinati in modo da ridurre l'ammontare del successivo aumento di mercato. Il primo round, chiuso venerdì 2 dicembre, non ha dato gli esiti sperati visto che degli oltre 4,2 miliardi di valore nominale dei titoli coinvolti, le adesioni si sono fermate a poco più di un miliardo (di cui 400 milioni circa di titoli in mano di Generali). Ma, in uno scenario in cui si fa sempre più concreta l'ipotesi di burden sharing o addirittura di bail in, molto più penalizzanti per i detentori di bond subordinati, le adesioni alla conversione potrebbero lievitare. Non solo. Potrebbe poi essere percorsa la strada della conversione del Fresh bond del 2008, dal valore nominale di un miliardo e in mano a investitori istituzionali, inizialmente esclusa in quanto tecnicamente non emesso da Siena. Insomma mai dire mai. Al momento certo dei fantomatici anchor investor, a lungo agognati dal mercato, non c'è traccia. Anche perché, in piena crisi di governo, per investitori come il fondo sovrano del Qatar, da cui ci si attendeva un impegno in Mps per almeno 1-1,5 miliardi, è difficile trovare una solida sponda in grado di garantire il buon fine dell'investimento. Ma Mps potrebbe comunque contare sull'apporto del Tesoro (azionista al 4%), forse anche della Fondazione Mps (all'1,2%), oltre presumibilmente ad altri investitori e retail amanti del brivido. Qualora infine la ricapitalizzazione dovesse avere successo gli azionisti, come da attese e in mancanza di un diritto di opzione, si troveranno con la loro quota nel capitale di Rocca Salimbeni polverizzata. Nessun problema invece per gli obbligazionisti e i correntisti.
Qualora l'operazione dovesse fallire, per Siena si aprirebbero gli scenari del burden sharing (che comporta la conversione obbligatoria dei bond subordinati, lasciando al Tesoro la possibilità di intervenire a tutela dei risparmiatori retail) o, in extrema ratio, del bail in che, secondo le prime stime, potrebbe costare 13 miliardi. Indiscrezioni di mercato sostengono che Roma avrebbe già pronto un decreto per procedere in tal senso. Lo schema potrebbe essere articolato in tempi diversi: l'acquisto di bond subordinati dagli investitori retail (in 40mila hanno in mano titoli per oltre 2 miliardi), l'accollo della garanzia sull'aumento di capitale e, solo in seguito, del salvataggio con modalità da verificare.
Un eventuale intervento di Stato si troverebbe a dover conciliare le esigenze di azionisti, obbligazionisti, correntisti e dipendenti, con quelle di Francoforte di delimitare gli aiuti di Stato.
Se l'intervento pubblico dovesse essere ritenuto illegittimo, Mps dovrebbe infatti restituire quanto ricevuto. Per questo oggi pomeriggio il vertice di Rocca Salimbeni proverà, una volta a ancora, a passare dal mercato.
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