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Mr Mittal arriva in Italia. L'allarme dei suoi legali: rischia di essere arrestato

Il governo deciso a proseguire la battaglia giudiziaria per scongiurare lo spegnimento

Mr Mittal arriva in Italia. L'allarme dei suoi legali: rischia di essere arrestato

«Ha firmato un contratto con lo Stato, ci dobbiamo far rispettare. Quella multinazionale deve restare lì», ha detto ieri Luigi Di Maio, confermando di fatto che il governo sta facendo pressioni su ArcelorMittal con un obiettivo preciso: fare restare il gruppo siderurgico a Taranto. Altre indiscrezioni ieri davano il premier Giuseppe Conte e il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri impegnati in un'offensiva diplomatica che consiste nel prospettare ad ArcelorMittal una nuova società con la partecipazione dello Stato. La classica tattica poliziotto buono-poliziotto cattivo, che però questa volta sembra funzionare solo a metà.

Secondo altre indiscrezioni, infatti, oggi potrebbe arrivare in Italia Lakshmi Niwas Mittal, il magnate indiano dell'acciaio in persona. Ma è stato sconsigliato dai suoi avvocati. L'indicazione arrivata al management è che il sistema italiano è impazzito e che Mittal potrebbe rischiare addirittura l'arresto, magari all'aeroporto subito dopo l'atterraggio.

Scenario poco lusinghiero, sicuramente condizionato da pregiudizi sull'Italia. Non del tutto ingiustificati se si considera che ieri c'erano associazioni consumeristiche che auspicava proprio l'arresto dei vertici di Arcelor Mittal.

Di certo c'è che il governo vuole mettere all'angolo Arcelor, prospettando una battaglia legale durissima sul rispetto del contratto stipulato con l'Italia e rendendo praticamente impossibile rispettare le tappe prospettate dalla multinazionale per arrivare allo spegnimento degli altiforni.

Su questo l'esecutivo sa di potere contare sui sindacati, intenzionati a presidiare gli impianti e dando indicazione ai lavoratori di disobbedire all'ordine dell'azienda.

La notizia è che il proprietario del gruppo che oggi amministra gli stabilimenti ex Ilva di Taranto potrebbe arrivare in Italia. Sempre che non decida di seguire i consigli dei suoi avvocati. Comunque la circostanza rafforza le voci che qualche spiraglio di trattativa c'è. Ieri fonti governative lo confermavano.

Sul come tentare l'intesa e salvare un impianto che da solo vale lo 0,2% del Pil nazionale, restano aperti due filoni. Quello che include ArcelorMittal consiste appunto in un intervento dello Stato per creare una newco. Intervento indiretto. Nel fine settimana il governo è tornato a lavorare con convinzione ad un progetto che includa la Cassa depositi e prestiti. Che la Cdp potesse avere un ruolo non è stato escluso da chi ha in mano la parte finanziaria del dossier, il il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri.

Contro il progetto con Cdp ieri si è schierato il presidente di Confindustria. «Non ha senso. Quello che può fare bene il privato è meglio non farlo fare al pubblico, trovare risorse para pubbliche con la logica di una pseudo nazionalizzazione non ha senso per nessuno», ha detto Vincenzo Boccia.

Poi c'è il secondo filone che è molto meno sviluppato e rappresenta un radicale cambio di passo. Secondo Il Sole24ore il governo avrebbe chiamato consulenti di Ernst&Young che in questi mesi hanno lavorato alla cessione di British Steel al gruppo cinese Jingye.

Possibile quindi che il «piano B» che era stato ipotizzato nei giorni scorsi, ma che è sempre smentito dal governo, non sia più un tabù. Consisterebbe nel sondare l'interesse degli investitori cinesi ad una newco (nuova società) magari con dentro la Cdp, come è stato prospettato ad Arcelor. Nessuna conferma ufficiale.

Al contrario, le trattative con altri gruppi vengono smentite dall'esecutivo. Ma potrebbe essere una scelta tattica. Portare alla luce il «piano B» significa dare ad ArcelorMittal il via libera per abbandonare Taranto. Dove, secondo il governo, dovrebbe invece restare.

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