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Murgia nuova santa teologa? Era lei che sfidava la Chiesa

Per i progressisti la scrittrice "perdonava". il Vaticano: In realtà nella sua militanza non c'era traccia di fede

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Il Pontificio Ateneo di Repubblica ha conferito ieri il baccalaureato in teologia a Michela Murgia. A pagina 20 con un lungo articolo firmato da Iacopo Scaramuzzi ma scritto praticamente a quattro mani con Marinella Perroni, amica della defunta e teologhessa ufficiale visto che insegna Nuovo Testamento al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo. Nulla di sorprendente per chi come me segue da troppi anni la fatiscenza ecclesiastica: «A Sant'Anselmo è giunta la lebbra» scrisse l'amata mistica Cristina Campo nel 1965, riferendosi allo sfascio liturgico post-conciliare appena constatato nella chiesa in cima all'Aventino. Figuriamoci quale può essere oggi lo stato dell'infezione nell'annesso super-conciliare ateneo.

Baccalaureato postumo però nemmeno troppo: la neoteologa è morta ma lotta insieme a loro, vivo è il suo insegnamento, numerosi i suoi discepoli. Ho fatto bene nei giorni scorsi a definirla «eresiarca». Eretico, precisa la Treccani, è «chi, essendo membro della Chiesa cattolica, nega pertinacemente o anche soltanto mette in dubbio qualcuna delle verità rivelate o dei dogmi di fede». L'eresiarca è di più, è il capo di un movimento ereticale: è un eretico che ha avuto successo, il Lutero della situazione. E il successo editoriale dell'attivista sarda non lo può mettere in dubbio nessuno. Oggi in classifica la Murgia è superata dal libro del generale-kamikaze Vannacci ma niente paura, fra pochi giorni l'incidente sarà risolto, il conformismo sarà nuovamente sovrano, le librerie ridiventeranno gineceo. Torneranno a primeggiare titoli come «Accabadora» (celebrante la figura di quella vecchie sarde che finivano i malati a martellate, tanto per rimanere in zona eresia: l'eutanasia è dalla Chiesa espressamente proibita) e «God Save the Queer. Catechismo femminista», il cui sottotitolo rappresenta l'utoesclusione dell'autrice dal cristianesimo. Il femminismo è ideologia, irreligione, divisione, non si può essere femministe e cattoliche come non si può servire a Dio e a Mammona. A parte l'inattualità della rivendicazione. Ora «se c'è qualcuno a essere sotto scacco sono gli uomini, indotti dalla pressione sociale e dalla ideologia unica e monocorde, quella del gender, a diventare più femminili». Sono parole di Costanza Miriano che nell'articolo di Repubblica è l'anti-Murgia, una specie di babau. Scaramuzzi la definisce «influencer neocatecumenale», come a sminuirla due volte. Peccato che neocatecumenale non lo sia per nulla, la brillante apologeta. La sua colpa è avere usato parole nette dopo gli scandalosi funerali, un po' beatificazione e molto comizio, alla Chiesa degli Artisti: «Rappresentava i non valori dominanti, quindi tutto meno che coraggiosa, perché totalmente a favore di vento».

La neoteologa era quanto di più allineato. Per questo dirigeva riviste di moda, accatastava premi, conduceva programmi, concionava alla prima della Scala... Non era ribellione: era istituzione. Scaramuzzi lo ricorda involontariamente, riportando le sue parole sulla Chiesa, criticata «per un limite palese di adeguamento allo stare nel tempo presente». Come tanti eretici modernisti prima di lei, voleva che la Chiesa si adeguasse al mondo. Insisteva a dirsi cattolica ma non ascoltava Gesù: «Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà?» (Matteo 5,13).

Era sale insipido, la povera Michela Murgia.

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