
Elon Musk sembra ormai aver archiviato l'alleanza con il presidente americano Donald Trump. Mr Tesla ieri, con un post sul suo social X, ha varato un attacco frontale all'amministrazione definendo la legge fiscale, il «big beautiful bill», definendola un «abominio disgustoso» che farà esplodere i deficit di bilancio federali. In un altro post, ha detto che il disegno di legge appesantirà un deficit da 2.500 miliardi di dollari che «graverà sui cittadini americani con un debito schiacciante e insostenibile».
Intanto gli occhi dei mercati sono tutti incollati sull'incontro di questa mattina, quando la delegazione dell'Unione europea guidata dal commissario al commercio Maros Sefcovic incontrerà quella statunitense dell'omologo Jamieson Greer. Si vedranno a margine del vertice ministeriale dell'Ocse, a Parigi, che ieri ha divulgato un monito, rivedendo al ribasso le sue previsioni per la crescita globale per il 2025 e 2026: si prevede, infatti, che il Pil mondiale crescerà del 2,9% quest'anno e il prossimo, rallentando di 0,2 e 0,1 punti percentuali rispetto alle previsioni di marzo. Lo spaccato sull'Italia evidenzia un Pil in leggera frenata allo 0,6% per poi risalire il prossimo anno a +0,7 per cento. Roma, si ricorda, «è esposta» alle tariffe più alte «minacciate dall'amministrazione Trump dal momento che più del 10% delle sue esportazioni nel 2023 sono finite negli Usa».
Da quanto filtra da fonti Ue, nei confronti tecnici prepratori al negoziato vero e proprio è stato sottolineato un clima «molto costruttivo». Mentre la Casa Bianca ha ufficializzato l'invio di lettere ai partner commerciali definendole «un promemoria amichevole». Intanto, ieri, sul social Truth, il presidente Trump ha vergato poche righe per descrivere l'aumento dei dazi come una questione esitenziale: «Se ad altri Paesi è consentito usare tariffe contro di noi, e a noi non è consentito di contrastarli, rapidamente e agilmente, con tariffe contro di loro, il nostro Paese non ha nemmeno una piccola possibilità di sopravvivenza economica». Sempre secondo l'Ocse, la crescita degli Stati Uniti «rallenterà drasticamente» scendendo all'1,6% nel 2025 e all'1,5% del 2026. Oltre alla guerra commerciale, «un'ulteriore contrazione dell'immigrazione netta e una riduzione del numero di dipendenti del governo federale dovrebbero indebolire la crescita» negli Stati Uniti. Intanto, il presidente ieri ha firmato i super dazi su acciaio e alluminio raddoppiati al 50 per cento.
La sensazione è che per l'Europa si stia avvicinando un importante bivio: da un lato, infatti, un buon accordo con gli Stati Uniti spazzerebbe via per lo meno le previsioni più fosche sulle esportazioni; dall'altra, si registra una notizia positiva sul fronte dell'inflazione che, per l'Eurozona, è scesa oltre le attese all'1,9% a maggio 2025, in calo rispetto al 2,2% di aprile. Vale a dire che l'obiettivo della Banca centrale europea di una crescita dei prezzi intorno al 2% è sostanzialmente centrata ed è stato probabilmente spazzato via ogni dubbio sull'opportunità di apportare un nuovo taglio ai tassi.
Nella riunione di domani, l'istituto guidato da Christine Lagarde dovrebbe optare per un'ulteriore sforbiciata da 25 punti base (lo 0,25%). Si tratterebbe dell'ottava riduzione del costo del denaro, che porterebbe così il tasso sui depositi al 2% e quindi dimezzato rispetto al picco di un anno fa.