Mutilato e abbandonato: è morto il bracciante indiano

Un macchinario aveva strappato un braccio a Satnam Singh. Il caporale lo aveva scaricato davanti alla casa del padrone

Mutilato e abbandonato: è morto il bracciante indiano
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Scaricato con un braccio amputato davanti casa. È morto dopo un giorno e mezzo di agonia Satnam Singh, «Navi» per i compagni di lavoro, bracciante agricolo di nazionalità indiana di 31 anni, gravemente ferito da un rullo avvolgi-plastica trainato da un trattore in un campo di Borgo Santa Maria, alla periferia di Latina. Morto per la grave perdita di sangue dovuta all'amputazione di un arto, morto soprattutto perché il suo «caporale» e il datore di lavoro, Antonello Lovato, l'hanno lasciato per strada, a Sant'Ilario, senza allertare il 118. Un ritardo nei soccorsi risultato fatale.

L'uomo è deceduto ieri mattina al San Camillo di Roma dov'era stato portato in eliambulanza chiamata da un connazionale. I due, datore di lavoro e almeno un altro dipendente, sono indagati dalla Procura di Latina per omicidio colposo. Qualche ora dopo il fatto, dopo aver lavato dal sangue il pulmino usato per il trasporto di Navi, si presentano dai carabinieri, accompagnati da un avvocato, per mettere nero su bianco la loro versione dell'accaduto. Escono dalla caserma con una denuncia per lesioni gravi, omissione di soccorso e violazione delle leggi in materia di lavoro irregolare. Adesso, dopo la morte dell'uomo, la loro posizione si aggrava. Si cerca una terza persona coinvolta nell'incidente, quella alla guida oppure a bordo del mezzo che ha riportato a casa Navi con la moglie. Secondo quanto raccontato dalla donna, che non parla italiano, il marito è stato trascinato dal macchinario che l'ha ferito anche agli arti inferiori. Subito dopo il «principale» li ha caricati sul furgone da trasporto merce. «Pensavamo ci portasse in ospedale - racconta ai carabinieri - invece ci ha lasciato sull'asfalto, davanti casa». L'avambraccio amputato riposto in una cassetta della frutta, Singh in un lago di sangue. La donna urla e si dispera, chiede aiuto ma non pronuncia una sola parola in italiano. Accorre un compagno di lavoro che allerta il 118. I sanitari si precipitano a Sant'Ilario e stabilizzano il paziente in attesa dell'eliambulanza. Le condizioni del poveretto sono gravissime. Disperate. I medici romani non possono recuperare l'arto ma fanno l'impossibile per tenere almeno in vita il 31enne. «Il quadro clinico è preoccupante», dicono prima di entrare in sala operatoria. L'uomo supera la prima notte, si attende che i valori tornino nella norma, ma ha perso troppo sangue. Si spera in un miracolo, che non arriva. Satnam Singh, in Italia da 3 anni con la moglie, viveva in una zona periferica di Cisterna, nell'agro pontino, a Sant'Ilario e lavorava in un'azienda locale che coltiva zucchine e angurie.

Una mattanza senza fine, quella dei lavoratori in nero, senza contratto e senza misure di sicurezza. Il consiglio comunale di Latina, alla notizia della morte di Singh, ha chiesto all'unanimità di costituirsi parte civile nell'eventuale processo ai responsabili. «Ciò che è accaduto nella nostra città - dice la sindaca di Latina, Matilde Celentano - è una violazione dei diritti umani fondamentali, della dignità umana e delle norme sulla sicurezza del lavoro. Il caporalato è una piaga vergognosa».

Nella stessa giornata altre due morti sul lavoro, sempre nel

Lazio. Un 58enne è stato colpito da una trave di ferro mentre stava lavorando in un'azienda di Ceprano (Frosinone) mentre un 84enne è morto schiacciato dal trattore che guidava e che si è ribaltato in provincia di Latina.

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