«La Nato è pronta a proteggere Ankara con le sue truppe»

Sempre più profonda la frattura tra la Russia e la Turchia Intanto Gentiloni «frena» sull'avvio dei nostri bombardamenti in Irak

Quando la scorsa estate la Turchia ha incominciato a bombardare le postazioni curde, sostenendo ufficialmente di voler bombardare lo Stato Islamico, alla Nato di Bruxelles non si sono manco voltati indietro. Il fatto che Erdogan se la prendesse con l'unica forza dimostratasi in grado di bloccare l'avanzata del Califfato sul fronte siriano non preoccupava minimamente gli strateghi di Bruxelles. Invece le bombe sganciate dai Sukhoi russi sui depositi d'armi e sulle prime linee dei ribelli qaidisti di Al Nusra e di altri gruppuscoli jihadisti nemici di Bashar Assad mandano in bestia il segretario generale dell'Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg. E così proprio mentre la sede dell'Alleanza accoglie il vertice di tutti i suoi ministri della difesa il Segretario generale lancia il suo personale guanto di sfida a Vladimir Putin annunciando che la Nato è pronta «a dispiegare forze anche al sud, compresa la Turchia».

A tener bordone al segretario dell'Alleanza Atlantica ci pensa il presidente turco Recep Tayyip Erdogan minacciando di rompere sia i contratti con Mosca per la costruzione di una centrale nucleare sul Mediterraneo, sia quelli per le forniture di gas russo. Se la Turchia può facilmente trovar qualcun altro in grado di portar a termine la centrale di Akkuyu, in cui Mosca ha già investito 3 milioni di dollari, ben difficilmente però Ankara potrà fare a meno del gas russo.

In tutto questo non va dimenticato che quella degli sconfinamenti dei Sukhoi russi nei cieli turchi è questione assai pretestuosa. Anche perché negli ultimi quattro anni le violazioni dello spazio aereo siriano da parte degli aerei di Ankara manco si contano. Quel che veramente brucia sono, invece, i colpi inferti grazie ai raid russi a gruppi come «Liwa Suqour al-Jabal» (Brigata dei Falconi del Levante) pazientemente addestrati per anni dalla Cia e finanziati dai sauditi. Lavorando al seguito dei qaidisti di Al Nusra i «Falconi del Levante» erano riusciti a espandersi nella provincia di Idlib e minacciare Aleppo da nord. Nella zona centrale di Hama si preparavano invece a tagliare i collegamenti tra la stessa Aleppo e Damasco. In pochi giorni le testate missilistiche lanciate dalle navi russe nel Caspio e i raid di Mosca (22 solo tra mercoledì e ieri) hanno compromesso i loro piani. Senza contare gli effetti dell'offensiva di terra, coordinata con i comandi russi e annunciata ieri dal capo di stato maggiore delle forze siriane Generale Ali Abdullah Ayyoub. Un'offensiva che potrebbe mandar definitivamente in fumo le speranze di Washington di mettere in piedi un'armata in grado di minacciare Bashar Assad.

L'ambiguità degli Usa (che ieri sera hanno affermato che 4 missili russi sarebbero piovuti in Iran, ma Mosca ha smentito) e la mancanza di una qualsiasi strategia coerente sul quadrante di Damasco fanno ben capire perché Matteo Renzi, preoccupatissimo di un invito statunitense ad operare nel pantano siriano, abbia giocato d'anticipo offrendo la disponibilità ad impegnarsi maggiormente sul versante iracheno. Anche lì però senza fretta. Mettere in condizione i Tornado italiani di colpire lo Stato Islamico è in pratica molto facile. Basta spedire nella base kuwaitiana da cui operano gli «occhi» elettronici necessari a leggere le coordinate per l'«illuminazione» dei bersagli e fissarli sulla pancia dei velivoli assieme alle barre di sostegno delle bombe. Ottenere un via libero politico rischia invece di rivelarsi molto più complesso. Così - accontentato in linea di principio l'alleato americano - il premier Renzi attende di capire se la discussione in Parlamento delle nuove regole d'ingaggio possa mettere a rischio i numeri della maggioranza. Un attendismo giudicato ipocrita e inutile da Paolo Romani di Forza Italia che arriva in un'intervista ad ipotizzare l'appoggio esterno della sua formazione. «In Iraq - sostiene il capogruppo di FI al Senato - il governo deve passare dalla fase dell'ipocrisia a quella della decisione perché l'Italia, al pari degli alleati, deve prendersi la sua dose di responsabilità. E di rischio», ricorda Romani spiegando che in caso di voto FI è pronta a fare il suo dovere.

Getta acqua sul fuoco Silvio Berlusconi, sottolineando che «il fenomeno dell'Isis si può sconfiggere soltanto

con un accordo fra i principali protagonisti internazionali: l'America, l'Europa con dentro il nostro Paese, la Federazione Russa e la Cina. Non credo invece - conclude Berlusconi - che avventure isolate siano producenti».

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