'Ndrangheta, condannato l'ex calciatore Iaquinta

Due anni per possesso illegale di armi, 19 al padre. Lo sfogo: «Rovinato perché sono calabrese»

Tiziana Paolocci

«Sto soffrendo come un cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto niente». L'ex calciatore Vincenzo Iaquinta, tra gli imputati di Aemilia, il più grande processo mai celebrato nel Nord Italia contro la 'ndrangheta, lo ha gridato davanti alle telecamere, fuori dal tribunale di Reggio Emilia.

L'ex bomber della Nazionale e della Juventus, campione del mondo nel 2006, è stato condannato a 2 anni di reclusione per reati relativi alle armi. L'accusa ne aveva chiesti 6, ma nella sentenza di primo grado è caduta l'aggravante mafiosa. Giuseppe Iaquinta, invece, padre dell'ex calciatore, accusato di associazione mafiosa, è stato invece condannato a 19 anni. La sentenza per i 148 imputati è arrivata dopo due settimane di camera di consiglio «blindata» e sono state 125 le condanne, 19 le assoluzioni e 4 le prescrizioni. Iaquinta era stato trovato in possesso di un revolver Smith&Wesson calibro 357 magnum, oltre a una pistola Kalt-tec 7,65 Browning e a 126 proiettili. Armi regolarmente denunciate, che custodiva nella sua abitazione di Reggiolo. L'accusa è scaturita dalla cessione delle stesse al padre, al quale nel 2012 era stato notificato un provvedimento del prefetto che gli impediva di tenere armi da fuoco, per amicizie particolari con presunti affiliati alla 'ndrangheta.

«Ridicoli, vergogna - hanno gridato padre e figlio uscendo dal Tribunale -. Il nome 'ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia. Mi hanno rovinato la vita sul niente, perché sono calabrese, perché sono di Cutro. Io ho vinto un Mondiale e sono orgoglioso di essere calabrese».

«Raramente lo dico ma questa è una sentenza che grida vendetta ed è scontato che faremo ricorso - commenta l'avvocato Carlo Taormina -. Non so come abbiano potuto dare questa pena quando si è trattato di aver omesso di comunicare alla polizia che l'arma, una pistola regolarmente detenuta con porto d'armi, era stata trasferita in un'altra località per motivi di sicurezza».

Quanto alla posizione di Giuseppe l'avvocato sottolinea che fu sottoposto a ordinanza di custodia cautelare in carcere, poi scarcerato dalla Cassazione per mancanza di indizi: «È stato accertato che non ha avuto nessun rapporto né di lavoro, né di interesse con gli altri indagati».

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