Ma la vera zona rossa è il centro di Milano. Detto con tutto il tatto e il rispetto possibili per chi sta vivendo ore drammatiche e drammi personali nelle aree colpite dalla subdola violenza del coronavirus, forse sarebbe il caso di ridisegnare una mappa del dissesto economico, purtroppo non meno grave di quello sanitario. Una geografia più reale del disastro che sta squassando le aree più produttive del Paese e di cui forse nei Palazzi romani del governo non ci si sta rendendo conto, continuando a considerare Milano, Lombardia e Veneto come lontane province dell'impero. E soprattutto i piccoli commercianti niente più che degli abituali evasori fiscali, sempre pronti a lamentarsi per incassi che non li soddisfano.
E, invece, sarebbe bastata ieri una passeggiata in Galleria Vittorio Emanuele sedendosi a qualche tavolino di ristorante, per rendersi conto della drammaticità di una situazione che in poche ore può trasformarsi in un grosso guaio non per Milano, ma per l'Italia intera. Perché se un ristorante di prestigio come il «Biffi», in Galleria dal 1857, dopo una settimana di incassi da poche decine di euro, ieri a pranzo ha registrato un desolante «zero coperti», ben si capisce a che punto si sia arrivati. E non è andata meglio al «Salotto» che l'altro giorno con un'apertura dalla mattina presto alla sera tardi ha incassato «un paio di tavoli a pranzo e due aperitivi la sera». Bilanci simili per «Gatto rosso» e «Galleria», tavoli vuoti al «Camparino» e da «Cracco». Di qui l'idea del proprietario del «Biffi» Tarcisio De Bacco di una campagna di sconti e soprattutto messaggi social rassicuranti «e senza mascherine» per convincere i turisti che Milano non è tornata ai tempi delle peste manzoniana. «Perché io - racconta - ieri ho pagato i fornitori, il 5 devo pagare i dipendenti e subito dopo i contributi. Dove li trovo i soldi se andiamo avanti così?». Anche perché il problema sta diventando l'immagine di Milano nel mondo, tracollata in un battibaleno per colpa del virus dopo l'ubriacatura da Expo e la registrazione dei record di arrivi snocciolata mese dopo mese dal sindaco Giuseppe Sala. E proprio per questo ora viene da chiedersi se sia stata buona idea dare un altro messaggio negativo rinviando il Salone del mobile, massima vetrina di Milano nel mondo, visto che il Veneto del governatore Luca Zaia ben si è guardato dal posticipare il Vinitaly. Perché alla fine, oltre ovviamente alla salute, tutto si trasforma in una questione d'immagine, come purtroppo testimoniano le dirette fatte dai giornalisti di Sky Inghilterra dai tavolini del «Salotto» della famiglia Alloni, mandando nel mondo l'immagine di una Galleria desolata. Così come le foto da brivido sul New York Times di ieri. Un danno che non può pesare solo sulla spalle dei piccoli commercianti, mentre le grandi catene hanno aumentato gli incassi grazie all'effetto panico di chi è corso a riempire i carrelli. Perché se adesso per evitare giornate in perdita, cominciassero ad abbassare le serrande e a mandare i dipendenti in ferie, licenziando magari qualcuno, allora sì che Milano assumerebbe l'aspetto di una città fantasma.
E allora di fronte all'eroismo di questi commercianti che tengono aperto rimettendoci di tasca loro, il governo ha il dovere «morale», come ha detto l'altro giorno il premier Giuseppe Conte per le zone rosse più classiche, di pensare a misure che vengano loro incontro. Rapide. E soprattutto efficaci.
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