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Nei dossier anche i nomi dell'inchiesta su Becciu

Dai file di Perugia emergono accessi su personaggi coinvolti nel caso di cui è protagonista il cardinale

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Una centrale di dossieraggio a disposizione non solo dei giornalisti amici ma anche di poteri forti e sommersi: Vaticano compreso. Nella brutta storia della struttura che all'interno della Direzione nazionale antimafia smistava atti segreti prelevati illecitamente dalle banche dati con le segnalazioni della Banca d'Italia emerge una pista che porta direttamente alla vicenda che ha scosso negli ultimi anni la Santa Sede, l'inchiesta sul cardinale Angelo Becciu (nella foto) e sui personaggi che ruotavano intorno a lui, a partire dall'ex fonte dei servizi segreti Cecilia Marogna. Becciu è stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere, la Marogna a tre anni e nove mesi. Ma la genesi e la conduzione dell'inchiesta continuano a essere in buona parte circondati dal segreto.

Ora, dai file della Procura di Perugia che indaga sullo scandalo dei dossier emergono interrogazioni significative compiute da Pasquale Striano, il luogotenente della Guardia di finanza al centro dell'indagine. Il 19 luglio 2019 Striano fa un accertamento su «Mincione Raffaele», l'indomani su «Torzi Gianluigi», tre giorni dopo su «Tirabassi Fabrizio». Ora sono nomi noti: Mincione è un finanziere, Torzi un broker, Tirabassi è un funzionario amministrativo del Vaticano, e sono stati tutti condannati insieme al cardinale Becciu e alla Marogna. Ma nel luglio 2019 i loro nomi sono sconosciuti al pubblico. Saliranno alla ribalta delle cronache giudiziarie solo il 2 ottobre successivo, quando il Promotore di giustizia Vaticano fa scattare le perquisizioni che fanno uscire l'inchiesta allo scoperto.

Chi e perché chiede nel luglio a Striano di fare gli accertamenti su Mincione, Torzi e Tirabassi? Difficile pensare a un giornalista della cerchia di Striano e del suo capo, il pm antimafia Antonio Laudati. Il canale con la stampa su questo versante si attiverà solo successivamente: a marzo 2020 Striano preleva e passa al giornalista Giovanni Tizian i dati di Cecilia Marogna. E c'è da notare che già a ottobre 2019 le carte dell'inchiesta vaticana approdano praticamente in diretta sulle pagine dell'Espresso, firmate dall'attuale direttore del Domani Emiliano Fittipaldi. Ma in luglio, nessun amico giornalista aveva motivi concreti per chiedere a Striano accertamenti sul broker, sul finanziere e sul funzionario vaticano.Così l'unica spiegazione è che la richiesta a Striano sia venuta direttamente dall'interno del Vaticano, dove già prima dell'estate aveva iniziato l'accerchiamento giudiziario intorno a Becciu. Il 5 luglio il Papa firma un Resprictum autorizzando la gendarmeria a «utilizzare strumenti tecnologici» per intercettare le attività degli indagati. Una rogatoria verso l'Italia avrebbe avuto tempi lunghi, esito incerto, probabile pubblicità. Rivolgendosi direttamente alla «centrale dossier» insediata dentro la Dna si sarebbero risparmiati tempo e fatica. Ma sorge un'altra domanda: chi può avere consigliato agli inquirenti vaticani la «scorciatoia Striano»?Di certo c'è che il materiale fornito da Striano, ovvero le Sos (segnalazioni di operazioni sospette) provenienti dalla Banca d'Italia e custodite nel Sidda, la banca dati della procura Antimafia, diventano un pezzo importante dell'indagine su Becciu e dintorni. Anzi, a ottobre l'Espresso scrive che l'inchiesta nasce proprio dalle segnalazioni di Bankitalia. Non è proprio così, evidentemente: le sos arrivano Oltretevere per via breve, grazie a Striano, quando i promotori di giustizia sono però già sulle tracce del cardinale. Potrebbe essere ora il procuratore di Perugia Raffaele Cantone a chiedere spiegazione ai colleghi vaticani.

Che però hanno giocato d'anticipo, aprendo un'inchiesta parallela sul caso: un modo per farsi consegnare da Cantone quel che ha in mano, anzichè raccontare a lui come è andata.

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