Il day after del Pd, dopo che il governo ha messo in sicurezza la riforma Cartabia, è piuttosto amaro. La partita azzardata giocata dal segretario Enrico Letta, che ha scelto di far sponda con Giuseppe Conte per strappare la tela della più importante riforma del governo, lascia dentro il partito uno strascico di profondo malumore.
Se ne fa portavoce l'ex capogruppo Andrea Marcucci, che dice (in un'intervista al Foglio) ciò che in molti tra i dem pensano: «A me pare che non si percepisca con chiarezza un aspetto che invece dovrebbe essere cristallino: il governo Draghi è il nostro governo, e lo sforzo riformatore che il premier sta facendo va sostenuto senza ambiguità, senza retropensieri e senza pensare a impossibili vie di fuga» Il messaggio di Marcucci al Nazareno è chiaro: basta giochini ambigui con chi, come Conte, lavora per liberarsi di Draghi e tentare di andare al voto il prossimo anno. Cosa che per il momento, con gli interlocutori interni, Letta esclude. Ma il sospetto di molti è che sarebbe pronto a cambiare idea se riuscisse a vincere il seggio di Siena (obiettivo che secondo molti è all'origine dell'inseguimento di Conte e di M5s da parte del segretario, che spera nel loro appoggio elettorale) e ad appuntarsi sul petto la medaglia di una vittoria a Roma nelle amministrative d'autunno. «Il problema di Letta - osserva un parlamentare della sinistra dem - è che scambia Draghi per Monti, e pensa che si debba avere con il suo governo un rapporto conflittuale per non ripetere gli errori che portarono nel 2013 alla sconfitta di Bersani. Solo che gli sfugge un particolare fondamentale: Draghi non c'entra nulla con Monti, e i tempi sono radicalmente cambiati. Pensare di tornare al prima di Draghi è pura illusione».
Ad alimentare il malessere interno c'è anche la questione del ruolo avuto dal partito nella giornata più drammatica del governo Draghi: praticamente nessuno. Se non quello (che a Palazzo Chigi non è passato inosservato né perdonato) di avere dato il «la» al tentativo dei Cinque stelle di smontare la riforma, offrendo una sponda alle velleità revanchiste di Conte dopo che l'intesa sul testo era stata chiusa, con il sì obtorto collo dei ministri grillini, e varata in Cdm. Di lì in poi, però, il Pd ha perso la palla e giocato di rimessa. I suoi annunci di «mediazione» con i Cinque stelle si sono alla fine risolti nelle telefonate dei ministri Franceschini e Orlando a Conte, giovedì, per convincerlo a non tirare ulteriormente la corda. Ma gli unici ad approfittare della situazione creata dal Pd, alla fine, sono stati quelli della Lega.
Che non solo si sono intestati la trattativa risolutiva (sulla scena mediatica con Salvini, nella realtà con Giorgetti) ma hanno anche ottenuto cambiamenti - in peggio - della riforma che altrimenti non ci sarebbero stati.
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