Per «sciacallo» si intende, spiegano i dizionari, un tipo di mammifero del genere canide, che «è attivo di notte, si nutre di carogne ed emette un caratteristico grido». In senso figurato, si usa per definire chi «profitta delle altrui sventure per trarne profitto».
Il termine è volato nelle ultime ore in casa Pd, dove una serie di personaggi si sono gettati con esplicita o celata voluttà ad utilizzare la tempesta giudiziaria che si è scatenata attorno a Matteo Renzi per portare acqua al proprio mulino. È stato Emanuele Fiano ad usare esplicitamente l'accusa di «sciacallaggio» contro Gianni Cuperlo, che giovedì sera in tv aveva detto: «Non chiedo le dimissioni di Luca Lotti, ma io al posto suo un passo indietro, di lato, lo farei». Suggerendogli quindi le dimissioni. La replica di Fiano è stata dura: «Pensavo di avere visto tutto, ma vedere stasera una persona di solito misurata come Gianni Cuperlo usare lo sciacallaggio nei confronti di Luca Lotti, che è totalmente innocente fino a prova contraria, dà la misura di a che punto si possa arrivare. Abbiamo sempre combattuto la cultura giustizialista. Io non cambio opinione». Poi Fiano si è scusato per il termine «forte», ma ha ribadito: «La richiesta di dimissioni di un innocente significa piegarsi ad una cultura giustizialista e abbandonare il garantismo». Anche Matteo Orfini rimprovera a Cuperlo di «dimenticare il garantismo». Ma, tra le righe, il presidente Pd tira in ballo anche Giorgio Napolitano, dicendosi «colpito» dalle interviste rilasciate da Alfredo Mazzei, dirigente Pci molto vicino all'ex presidente: «Curioso che avesse una tale familiarità con un uomo come Romeo una personalità, come Mazzei, che ha avuto un ruolo così importante nel partito e l'onore di rivestire ruoli importanti in una delle più autorevoli fondazioni della sinistra italiana, Mezzogiorno Europa», il cui presidente è appunto Napolitano.
L'elenco di chi nel Pd cavalca la bufera a proprio vantaggio e aggiunge fango al ventilatore però non è breve, ed è difficile non aprirlo con Michele Emiliano, il tribuno ex pm della Puglia (che di tempeste giudiziarie se ne intende: aveva indagato, con tanto di arresti, sul governo D'Alema per la storia della missione Arcobaleno, poi fu dallo stesso D'Alema candidato sindaco a Bari e l'inchiesta finì in prescrizione). Ieri ha praticamente ammesso di aver mollato gli scissionisti di Bersani per restare nel Pd perché sapeva che stava arrivando il botto giudiziario: «Ho capito cosa stava accadendo, e che bisognava dare un'alternativa radicalmente diversa alla gestione del partito». Il che spiega anche perché si fosse tenuto da parte gli sms di Lotti da sventolare al momento buono. E poi giù a farsi propaganda elettorale sparando sul quartier generale renziano, accusando l'ex premier (da lui sostenuto, all'epoca) di «aver rovinato il Pd e forse l'Italia», a chiedere le dimissioni di Lotti per «generosità verso il Pd», a spiegare che con lui sì che il Pd diventerebbe un partito «onesto». A dare il calcio dell'asino ci pensa poi il senatore Massimo Mucchetti, già vicedirettore del Corriere poi cortesemente piazzato da Bersani nelle liste Pd.
Toni allusivi e insinuazioni pesanti da complottista: «Rilevo una subalternità dell'attuale leadership del Pd verso circoli opachi come quello che si stringe attorno al massone Bisignani e verso culture anglicizzanti che sembrano moderne e invece sono state smentite dalla storia recente». Mancano solo il Bilderberg e la Trilateral, e poi sarebbe un Carlo Sibilia perfetto.
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