Ero seduto sulla riva del fiume in attesa di veder passare il cadavere di Facebook, il social che tanto nuoce al giornalismo e alla libertà di espressione.
«Su Facebook ci sono i vecchi» avevo sentito dire da una ragazza, crudele come possono essere crudeli le ragazze, che invece frequenta Instagram, social network ugualmente di Zuckerberg ma all'apparenza meno invasivo, meno censore e bacchettone. E in effetti avevo notato il continuo innalzarsi dell'età media: sempre più nonne, sempre meno nipoti, sempre più foto di nozze d'argento o d'oro, sempre meno foto di feste di laurea.
Poi la ferale notizia: Facebook ha chiuso il 2016 con una crescita del 17% riguardo il numero degli utenti e del 51% riguardo i ricavi. Lo scrivo in lettere: cinquantuno per cento. Un dato umiliante se pensiamo che nel medesimo anno il pil italiano è cresciuto dello zero virgola qualcosa.
Non trovo assurdo paragonare un network a una nazione visto che gli abitanti del Grande Fratello di Menlo Park sono più della Cina (1,86 miliardi di persone) e le sue dimensioni economiche superano quelle di parecchi stati: 8,81 miliardi di dollari. Insomma Facebook scoppia di salute e le mie erano soltanto speranze.
Temo di dover sostare sulla riva ancora a lungo, avrò tutto il tempo per riflettere su un altro numero inquietante: 4,7 dollari.
È quanto ogni iscritto (anch'io colpevolmente lo sono) frutta a Zuckerberg. Una cifra modesta. Nella rete mettiamo tante foto, tanti pensieri, pezzi della nostra vita che speravo valessero di più.
Niente da fare: 4,7 dollari. Presi singolarmente pesiamo molto poco, per non dire nulla, e questo spiega il menefreghismo del social di fronte alle rimostranze per malfunzionamenti o censure.
Alle sue decisioni è vano fare appello: se ti cancella un'immagine (può bastare una croce celtica) perché viola il misterioso regolamento interno, o se ti blocca il profilo perché sempre secondo il suo insindacabile giudizio hai scritto una parola proibita (può bastare un «negro»), tanto vale attaccarsi al tram. Zuckerberg si finge democratico per poi comportarsi da Marchese del Grillo: io sono io e voi siete ciò che avete capito benissimo.
Peccato che a differenza di Alberto Sordi non faccia ridere. È un moralista che ce l'ha innanzitutto con il nudo femminile, come sanno eccellenti pittori quali Roberto Ferri e Riccardo Mannelli, più volte censurati a dispetto del loro valore artistico, evidente a chiunque tranne che al pedagogico staff.
A volte perfino con il nudo animale: a me hanno rimosso un quadro di Rocco Normanno raffigurante la testa di un bovino macellato. Troppo realista: il realismo pittorico a Facebook non piace, basti dire che è stato oscurato perfino Courbet. Forse anche troppo carnivorista.
Si dice che la più grande astuzia del diavolo sia fingere di non esistere.
La più grande astuzia del diabolico Zuckerberg è fingere di non avere un'ideologia, invece evidentissima proprio quando si uniscono i puntini delle censure: sono andato a rivedermi le cancellature subite di volta in volta da me e dai miei amici, compresa la dottoressa Silvana De Mari colpevole di evidenziare le patologie causate dalla pratica omosessuale, e ho capito che per non avere problemi social bisogna diventare animalisti, immigrazionisti, omosessualisti e vegani.
Facebook è una scuola di conformismo e un conformismo che
cresce a simili ritmi dovrebbe mettere paura. E far venire voglia di leggere quei media che non avendo un unico editore non sono inchiodati a un unico pensiero: li avete sicuramente presenti, si chiamano libri e giornali.
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