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No al cessate il fuoco. Libia senza pace. Haftar non si ferma "finché c'è Erdogan"

No al cessate il fuoco. Libia senza pace. Haftar non si ferma "finché c'è Erdogan"

Il maresciallo Khalifa Haftar ha lasciato Mosca senza firmare l'accordo con il governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Serraj, che avrebbe formalizzato un provvisorio cessate il fuoco nel Paese devastato dalla guerra. Haftar, dopo aver chiesto una notte di tempo per meditare sul testo ha ritenuto che il documento ignorasse «molte richieste dell'esercito nazionale libico». Due i punti principali: via i turchi dalla mediazione e totale disarmo delle milizie entro 90 giorni. Serraj invece, come annunciato dal ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, ha firmato l'accordo. «Continueremo i nostri sforzi su questa pista, perché finora non è stato raggiunto alcun risultato definitivo», ha detto Lavrov durante una visita in Sri Lanka. Ha poi aggiunto che Mosca ha cercato di «incoraggiare tutte le parti libiche ad accordarsi e non continuare a risolvere le cose con la forza».

Di umore molto diverso il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sponsor dell'iniziativa con Mosca. Non ha preso bene la giravolta del maresciallo e lo ha minacciato. «Nei prossimi giorni seguiremo da vicino le scelte fatte dal golpista Haftar - ha tuonato - e se gli attacchi al governo legittimo del Paese e ai nostri fratelli e sorelle libici continuano, non esiteremo a insegnare al golpista Haftar la lezione che merita». Erdogan ha invitato Mosca a fare di più per risolvere il conflitto. «Abbiamo fatto il nostro dovere», ha precisato, e ha aggiunto che «la parte successiva» spetta al presidente russo Putin.

Russia e Turchia avevano unito i loro sforzi, anche per uno scambio fra una tregua in Libia e una nella provincia siriana di Idlib, chiesta da Erdogan. Una tela complessa tessuta fin da dicembre. Il Parlamento turco aveva votato il 2 gennaio una legge per inviare truppe in Libia a sostegno del governo di Tripoli, ormai assediato da Haftar. Il maresciallo è sostenuto da Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Giordania, controlla vaste aree della Libia a Est e Sud, compresi i suoi giacimenti petroliferi, e le sue forze hanno cercato di impadronirsi della capitale da aprile 2019 e strapparla ad al Serraj, sostenuto oltre che dalla Turchia anche dal Qatar. E ieri sera uno dei suoi ufficiali ha dichiarato alla tv Al Arabiya: «Con le milizie di Tripoli l'unica soluzione è quella militare. Vanno annientate».

La decisione di Haftar di abbandonare l'accordo del cessate il fuoco però è un duro colpo per i tentativi di Mosca e di Ankara di presentarsi come arbitri nel conflitto libico e mina le prospettive di una svolta alla conferenza di pace di Berlino che si dovrebbe tenere il 19 gennaio, anche se il generale ha garantito la sua presenza. Il presidente russo Vladimir Putin e la cancelliera tedesca Angela Merkel si sono sentiti al telefono, su iniziativa di Berlino. Hanno discusso dei preparativi per la conferenza e dell'incontro delle due parti libiche a Mosca. Wolfram Lacher, analista della Libia presso l'Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza, ha dichiarato però che «ora ci sono prospettive molto limitate per una negoziazione a Berlino. Ieri molte cose sembravano possibili. Il rifiuto di Haftar dell'accordo potrebbe avere a che fare con il fatto che è stato mediato da Russia e Turchia e che i suoi sostenitori, gli Emirati Arabi e l'Egitto, non erano contenti di questo». È dello stesso parere anche il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu che afferma senza mezze misure: «Se Haftar continua così, la conferenza di Berlino non avrà senso».

La Libia ricca di petrolio è stata devastata dai conflitti dall'insurrezione del 2011 che ha rovesciato il leader Muammar Gheddafi. Da allora è stata divisa tra due centri di potere rivali con sede nell'Est e nell'Ovest del Paese. A Tripoli ha sede il governo di al Serraj e a Tobruk quello di Haftar. Ma il conflitto è teatro di un crescente coinvolgimento da parte di potenze straniere.

Secondo il parere di molti analisti gli accordi forzati da parte dei delegati regionali e della comunità internazionale sono raramente rispettati.

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