Sarà meglio ammettere la superiorità delle industrie farmaceutiche occidentali o rischiare qualche milione di morti per Covid? Rifiutando i vaccini occidentali offerti ieri dall'Unione Europea Pechino ha già scelto la seconda strada. E ha dimostrato che l'ideologia e la mentalità della sua classe dirigente restano, sotto sotto, quelle di 64 anni fa quando Mao Tze Tung lanciò la sconsiderata «campagna per l'eliminazione dei quattro flagelli». L'iniziativa destinata a liberare le campagne da passeri, ratti, mosche e zanzare - definiti «inutili parassiti» dal Grande Timoniere - portò invece alla «grande carestia» responsabile - tra il 1958 e il 1962 - della morte di decine di milioni di contadini.
Oggi gli stessi paradossi ideologici sembrano indirizzare la fallimentare politica di contenimento della pandemia. Gli ultimi eclatanti esempi sono il rifiuto dei vaccini offerti dall'Unione Europea e le minacce rivolte a una dozzina di paesi, tra cui l'Italia, colpevoli di aver imposto i test anti-Covid ai viaggiatori provenienti dalla Cina. Lo scontro, tutto ideologico, è divampato ieri subito dopo la proposta della Commissaria Ue alla Salute Stella Kyriakides di garantire a Pechino «donazioni di vaccini adattati alle varianti», ovvero forniture di Pfizer e Moderna. Un'offerta subito respinta dal portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning che ha sottolineato come la produzione interna di vaccini sia sufficiente a «soddisfare la domanda». Il rifiuto fa seguito alle dichiarazioni con cui si minacciavano «contromisure» contro l'Italia e tutti gli altri paesi europei colpevoli di aver imposto l'obbligo dei test anti-Covid a chi arriva dalla Cina. Secondo i portavoce cinesi «le restrizioni in ingresso che colpiscono unicamente i viaggiatori cinesi sono prive di fondamento scientifico e inaccettabili» perché puntano a «manipolare le misure di prevenzione epidemica» per raggiungere «obiettivi politici». Proprio per questo giustificherebbero «contromisure, secondo il principio di reciprocità».
Parole che alla luce dei fatti appaiono non solo incoerenti, ma addirittura surreali. Anche perché le autorità pronte ad accusare gli altri paesi di eccessivo zelo sanitario sono le stesse che per tre anni hanno letteralmente imprigionato in casa centinaia di milioni di cinesi imponendo draconiane quarantene a tutti gli stranieri in arrivo nel paese. Ma l'evidente contraddizione non sembra turbare le autorità comuniste che accusano gli europei di adottare misure «politiche» nei loro confronti. Le ragioni che si nascondono dietro il «gran rifiuto» dei vaccini occidentali sono ancor più speciose e ideologiche. Accettare una fornitura di Pfizer o Moderna non significherebbe soltanto ammettere la superiorità scientifica del grande rivale americano, ma anche la necessità di far ricorso ai suoi prodotti per garantire la salvezza del proprio popolo. Dietro il diniego si cela infatti la manifesta inadeguatezza dei vaccini messi a punto dall'industria sanitaria del Dragone. Il CoronaVac prodotto dalle aziende di stato Sinovac e Sinopharm non usa la tecnologia mRna introdotta da Moderna e Pfizer e garantisce - secondo i test effettuati in Occidente - una protezione di appena il 66% rispetto al rischio di contagio e dell'86,3% rispetto al rischio mortalità. Proprio questa limitata efficacia ha spinto solo il 67% dei cinesi a vaccinarsi con due dosi e appena il 40% ad accettare una terza dose rivolta a limitare gli effetti delle varianti.
Insomma dietro l'accusa rivolta all'Europa di strumentalizzare politicamente il protrarsi della pandemia si nasconde la cattiva coscienza di un comunismo cinese che - dopo aver nascosto al mondo il Covid - non ha saputo né contenerne la diffusione, né garantire adeguati strumenti di prevenzione e vaccinazione al proprio popolo.
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