P otrebbe sembrare una versione pulp di un romanzo di Joseph Roth ma non è una vicenda in bianco e nero. Anzi, ha i vividi colori della follia. E il rosso è il colore più vivido di tutti.
È giovedì pomeriggio, poco dopo pranzo. Siamo a Stetten, una località della Bassa Austria non troppo lontana da Vienna. Qui ha la sua non disprezzabile dimora la famiglia dei conti Goess, una delle più in vista della nobiltà austriaca. Merito non tanto del blasone, quanto della produzione di vini di qualità per i quali la famiglia è nota. Sono anche imparentati con il conte Michael Goëss-Enzenberg, che dal 1991 guida la cantina italiana Manincor, una delle più importanti dell'Alto Adige.
Il conte Tono Goess ha 54 anni e una grave malattia con cui combatte da tempo e che trasforma molte sue giornate in un'odissea di emicranie che lo angosciano e trasfigurano. È scontento, vagamente depresso, si sente tagliato fuori dall'azienda di famiglia condotta principalmente dal fratello Ernst, minore di due anni, dopo che la terza sorella da qualche anno ha tolto il disturbo per seguire una vita totalmente lontana dal contegno asburgico e dal vino, convertendosi all'islam. Qualche giorno fa il papà Ulrich Goess, un patriarca maestoso e algido come un iceberg, ha compiuto 92 anni e ha voluto tutti i suoi familiari accanto a rendergli onore. Davanti a lui devozione e rispetto, dietro un ribollire di astî e rancori continuamente ravvivati.
Poi giovedì qualcosa accade. E, sapendo quanto possano essere profondi e inesplorati gli abissi dell'animo umano, non è detto che sia stato qualcosa di più grave di altre volte. Fatto sta che Tono imbraccia il suo fucile a pallettoni - un arma da caccia - e inizia a sparare. Non all'impazzata. Cinque colpi ma ben diretti. Per uccidere il padre Ulrich, il fratello Ernst e la matrigna, la contessa italiana Margherita Cassis Faraone, 87 anni, originaria di Terzo di Aquileia, in provincia di Udine e molto conosciuta a Trieste, dove figura come socio fondatore del più importante teatro cittadino, il Verdi, che ha frequentato fino all'ultimo ogni volta che tornava in Italia, con una predilezione per l'opera lirica. Tono aveva motivi di rancore anche nei suoi riguardi, di quella anziana melomane sposata dal padre in seconde nozze, dopo il naufragio del primo matrimonio con Maja, madre dei tre figli.
Tono ha gestito il suo raptus con eleganza quella sì davvero aristocratica. Ha chiamato una domestica e la ha suggerito di chiamare un'ambulanza per soccorrere i familiari. Nel frattempo i vicini, che avevano ascoltato distintamente i cinque spari ravvicinati (bum-bum-bum-bum-bum), avevano chiamato la polizia, che si è recata nel castello Goess e si è fatto arrestato come l'uomo mite che era stato fino a qualche ora prima. Ha confessato, e c'era poco da negare. Malgrado ciò il suo interrogatorio, avvenuto alla presenza dell'avvocato di famiglia Peter Philipp, è stato lungo diverse ore. C'era da ricostruire un'intera vita, quella di una famiglia che non c'è più.
Le ragioni del suo gesto Tono le ha affidate ad alcuni fogli manoscritti trovati dalla
polizia. In essi racconta di aver vissuto per tanti anni sotto un padre-apdrone e di aver maturato un odio quasi letterario nei confronti di quell'uomo che malgrado l'età veneranda non si decideva a morire. Ci ha pensato lui.
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