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Il nodo pensioni in alto mare. Gualtieri rimanda le scelte

Previsti solo interventi minori, su Ape sociale e opzione donna. Ma nel 2021 scade quota 100. E la Ue ci guarda

Il nodo pensioni in alto mare. Gualtieri rimanda le scelte

Non sarà una riedizione di Quota 100. Ma con tutta probabilità nemmeno un passaggio ad un sistema previdenziale che preveda una uscita più flessibile dei lavoratori. Tra i temi nell'agenda autunnale del governo le pensioni non darà molte soddisfazioni.

La politica si interroga sulle varie ricette circolate in queste settimane, da quota 41, cioè il ritiro dal lavoro con il solo requisito dell'anzianità ad appunto 41 anni ai 62/63 anni di età come punto di partenza per una uscita flessibile che preveda un taglio degli assegni fino al 4% per 4-5 anni. Proposta sponsorizzata dai sindacati, simile a quella lanciata a suo tempo da Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro ed esponente Pd che si dedica a tempo pieno allo studio e a formulare proposte di riforma previdenziale.

Ma l'esito degli incontri dell'8 e del 16 settembre traCgil, Cisl e Uil i e il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo sembra già scritto. Non ci sarà una proposta di riforma radicale. Difficile si abbozzi un'alternativa a Quota 100, l'uscita anticipata sperimentale voluta dalla Lega ai tempi del primo governo Conte, che scadrà nel 2022. Nemmeno se fosse a costo zero. Le pensioni sono diventate un tema sensibile da quando l'Italia è diventata il principale beneficiario dei programmi europei post emergenza covid. Difficile giustificare davanti al club dei contributori netti della Ue, del quale noi dal 2021 non faremo più parte, una riforma previdenziale di manica larga, quando i dati sull'età media del ritiro dal lavoro (non i requisiti di legge) indicano ancora l'Italia come uno dei paesi dove ci si pensiona troppo presto.

Ma qualcosa dall'incontro potrebbe uscire. In particolare il rinnovo di due strumenti che non sono stati approvati né dal primo né dal secondo governo Conte e che vanno in scadenza a fine 2020. Possibile un rinnovo dell'Ape sociale, cioè dell'anticipo della pensione per alcune categorie di lavoratori varato dal governo Renzi. Il requisito è avere compiuto 63 anni e avere 30 o 36 anni di contributi. A differenza dell'Ape volontario è pagato dalla fiscalità generale, non c'è quindi un taglio dell'assegno, ed è riservato a chi ha svolto lavori gravosi, a disoccupati con almeno 30 anni di contributi. L'Ape sociale è stata prorogata fino alla fine dell'anno ma scade il 2021, così come l'altra misura che il governo intende prorogare, cioè Opzione donna, la possibilità per le lavoratrici con 35 anni di contributi e 58 anni per le dipendenti e 59 per le autonome, di accere alla pensione in anticipo, con un ricalcolo contributivo dell'assegno. Misure che sono già tra le richieste del ministero guidato da Catalfo per la prossima legge di Bilancio.

I sindacati per il momento tengono ferme tutte le richieste, compresa la sostituzione di Quota 100 con un sistema di uscita flessibile intorno ai 63 anni o con 41 anni di contributi. «Qualcuno - auspica Domenico Proietti, segretario confederale della Uil - dovrebbe spiegare ai partner europei che la spesa previdenziale in Italia è bassa. Se si separa da quella per l'assistenza, è sotto il 12% del Pil». Per quanto riguarda l'Ape sociale l'obiettivo dei sindacati è allargare la platea degli interessati aggiungendo alle 15 categorie di lavori altri tipi di occupazione. Poi rendere stabile opzione donna.

Per il 2022 l'obiettivo è appunto arrivare a una scelta flessibile. «Quota 100 ha dei limiti, è rigida.

Il metodo di calcolo contributivo rende possibile una scelta possibile volontaria e flessibile, mantenendo l'equilibrio dei conti».

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