Egregio Direttore,
sono un Generale di Corpo d'Armata dell'Esercito, ormai in pensione da 3 anni per mia scelta, a seguito di un comportamento che ho reputato scorretto nei miei confronti, a quel tempo Capo di Stato Maggiore della missione Resolute Support a Kabul. Una questione di principio, che mi è costata non poco, come lei può immaginare. Pazienza.
Ho seguito nelle ultime ore i vari scambi sul tema delle pensioni d'oro. Purtroppo io credo che con questi signori al governo, soprattutto con Luigi Di Maio, il buon senso possa non bastare. E mi viene da pensare che pochi abbiano letto quella proposta di legge.
Al riguardo, la vorrei invitare a scorrere l'articolo di un mio collega, Generale Monaco Alessandro, che è un esperto in materia, in quanto già Ufficiale di Amministrazione dell'Esercito. Articolo pubblicato su Reportdifesa (www.reportdifesa.it) pochi giorni fa. Al di là della sorpresa di essere qualificati pensionati d'oro - di cui ancora mi sfugge il significato, se non quello generato dalla volontà di cavalcare una troppo facile rabbia sociale - e del grande dispiacere per essere stati additati anche come parassiti sociali - e dopo 40 e più anni di servizio questo fa veramente male - in questo testo sono riportati, nel modo più semplice possibile, argomenti molto validi per definire semplicemente «ingiusto» un qualsiasi provvedimento volto a tagliare quello che lo Stato ha fissato al momento in cui un «soldato» ha lasciato il servizio o ha scelto di farlo per anzianità dopo aver «contribuito» per più di quarant'anni. Come me.
Mi permetto solo di aggiungere che avendo superato il limite massimo dell'80% sull'ultimo stipendio, quale limite per la successiva retribuzione pensionistica, la gran parte di noi ha versato in pratica 10-15 anni di contributi che, per norma, avrebbero dovuto già alimentare il fondo per le pensioni disagiate. Roba tecnica che sicuramente chi è del mestiere conosce perfettamente. Ecco perché queste cose bisognerebbe farle pensare a chi è veramente del mestiere, senza pressioni politiche di sorta.
Un provvedimento, in definitiva, che io, e non solo io, giudico arbitrario. Un vero e proprio esproprio proletario. Credo che la gente debba conoscere la verità su questi aspetti, anche se questa verità può generare invidia. Ma non credo che si debba governare uno Stato cavalcando tanto l'invidia da declinarla in rabbia e quasi vendetta. La narrativa dei 5 Stelle, e di Di Maio soprattutto, ha questa connotazione e ha spinto verso decisioni-promesse prese a cuor leggero e sulle quali, quasi come un capriccio, sembra difficile ora tornare indietro. Come meriterebbe il buon senso e l'attaccamento al dettato costituzionale. Il provvedimento, qualora approvato, costringerà lo Stato e molti di noi ad affrontare la strada del ricorso.
Io la ringrazio per l'attenzione che potrà porre a questa mia lettera nella speranza che lei possa per il tramite del suo giornale far comprendere l'errore e l'ingiustizia che verrebbero commessi nel percorrere questa strada. Anche se tale ingiustizia rischia di apparire di poca portata, quindi anche insignificante, dato il numero non elevato dei «parassiti».
Io non chiedo, come Di Maio ha appena affermato, seguendo l'usuale (il)logica rabbiosa del suo pensiero, di essere salvato, ma di essere rispettato. Rispettati io e i miei colleghi, presi di mira ingiustamente e persino insultati, dopo una vita lavorativa trascorsa con un perenne carico di responsabilità sulle spalle, anche in orario fuori servizio.
Grazie per la sua attenzione, molto cordialmente.
generale Enzo Santo
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