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Non basta il caso Palamara: il Csm boicotta la riforma

Oggi il plenum discuterà il parere al testo Bonafede. Ma c'è già l'altolà: no a paletti politici sull'autonomia

Non basta il caso Palamara: il Csm boicotta la riforma

Giù le mani dalla discrezionalità del Csm. L'organo di autogoverno della magistratura è sulla difensiva, avverte la politica che non accetta intromissioni. Su nomine e valutazioni di professionalità, poteri disciplinari e legge elettorale, toghe parlamentari e altro, niente interventi che limitino le prerogative attribuite dalla Costituzione.

Oggi il plenum di Palazzo de' Marescialli discuterà il parere sulla riforma della giustizia, richiesto dall'ex ministro Alfonso Bonafede e che sarà la base anche del lavoro del nuovo Guardasigilli, Marta Cartabia. Il progetto di legge dell'agosto 2020 è stato calendarizzato per la discussione in Parlamento e dopo il caso Palamara appaiono urgenti profonde modifiche del sistema del Csm, soprattutto per la scelta dei dirigenti senza il condizionamento delle correnti. Ma il Consiglio vuole mandare un segnale preciso: se dobbiamo riformarci lo facciamo noi, non vogliamo imposizioni dal legislatore, dai partiti. Il rischio è che si difenda lo status quo, con lo strapotere sulla magistratura delle correnti.

La giornata si preannuncia incandescente perché gli 8 laici di ogni colore politico(2 di Forza Italia, 2 della Lega, 3 del M5s e il vicepresidente David Ermini del Pd) sembrano compatti nell'opporsi ai 16 togati delle diverse correnti, almeno per contestare l'affermazione di principio della totale autonomia sulle nomine, che si traduce in completa discrezionalità. E infatti si preparano a presentare insieme un emendamento soppressivo del passaggio che, nella premessa del parere, definisce inaccettabili, perché troppo dettagliati, i paletti che la politica vorrebbe mettere alla selezione di toghe direttive e semidirettive. Insomma, la trasparenza di criteri oggettivi come l'anzianità e sostanziali come il merito, vengono visti come limiti all'autonomia del Consiglio.

La corrente di sinistra Area guida l'opposizione a riforme troppo invasive, ma sembrano pronte ad accodarsi le altre, a incominciare da Unità per la costituzione fino a Magistratura indipendente e Autonomia&Indipendenza di Davigo. Riguardo allo scandalo dell'ex presidente dell'Anm (radiato dalla magistratura e sotto inchiesta a Perugia, che ha fatto esplodere il sistema interno del Csm mettendone in evidenza appunto la completa discrezionalità sulle nomine), Area rivendica una sorta di superiorità morale, anche se i suoi consiglieri nelle chat risultano partecipi dei traffici e dice in sostanza: noi non siamo Palamara, le riforme ce le facciamo da soli.

Il Sistema

Il confronto sul parere c'è già stato nella commissione competente, la sesta, e al plenum oggi arrivano 200 pagine, divise in 6 relazioni per ogni problema principale, firmate da Elisabetta Chinaglia, Giovanni Zaccaro, Loredana Micciché, Fulvio Gigliotti, Alessio Lanzi e Sebastiano Ardita. La riforma Bonafede «determina una complessiva limitazione del potere discrezionale del Csm che viene in grande misura trasformato in potere amministrativo», scrivono Chinaglia e Zaccaro, appellandosi alla Costituzione. Il documento che sarà approvato, sollecitato dalla stessa Cartabia al vicepresidente del Csm Ermini, è importante anche in vista della seduta del plenum del 23 marzo, presieduta da Sergio Mattarella, presente la Guardasigilli.

«Il nodo dei nodi - spiega Alberto Maria Benedetti, laico in quota 5S- è quello sulle nomine: i togati sembrano determinati a respingere i limiti alla discrezionalità, mentre per noi laici stabilire criteri precisi eviterebbe una marea di ricorsi, come avviene ora, e aiuterebbe il Csm a recuperare credibilità con gli stessi magistrati.

Intendiamo stimolare il dibattito in plenum, per difendere il diritto del Parlamento di intervenire. Anche perché in alcuni casi discutiamo di norme regolamentari che il Consiglio si è già dato in questi anni». Solo che una circolare va bene, una legge preoccupa.

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