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Il giorno nero di Salvini con quattro sconfitte. E ora lo insidiano sia la Meloni sia Zaia

Non c'è solo il flop in Toscana. La leader di Fdi vince ai punti la corsa nel centrodestra grazie alle Marche. Il Veneto incorona la Lega a trazione anti-sovranista. Sul referendum il favore a Conte, Di Maio e Zingaretti

Il giorno nero di Salvini con quattro sconfitte. E ora lo insidiano sia la Meloni sia Zaia

La sconfitta che porta a casa Matteo Salvini in questa tornata elettorale vale per quattro. Ed è politicamente molto più pesante di quanto dicano i numeri - seppure impietosi - dell'unica sfida ufficiale nella quale era davvero impegnato il leader della Lega. Con il Veneto che fa storia a sé, infatti, l'ex ministro dell'Interno ha giocato tutte le sue carte sulla Toscana, regione data too close to call anche dai sondaggi. È finita con la candidata leghista Susanna Ceccardi dietro di quasi nove punti e mai in partita. Con buona pace di un Salvini che oggi non è più il Re Mida del consenso che abbiamo conosciuto fino alle Europee di un anno e mezzo fa. Anzi, ha decisamente perso il tocco. Sia che giochi all'attacco come aveva fatto nove mesi fa in Emilia Romagna (anche lì la candidata della Lega Lucia Borgonzoni era data alla pari e ha poi perso di quasi otto punti) sia che si muova in modo più felpato e meno aggressivo come è accaduto in questa campagna elettorale. Ed è anche per questa ragione che pesa il risultato della Toscana, perché nonostante l'approccio nuovo delle ultime settimane, il restare un po' dietro le quinte ed evitare di dare valenza nazionale al risultato, Salvini non è riuscito a sfondare. Ed ha di fatto fallito il terzo tentativo di spallata al governo in poco più di un anno dopo il buco nell'acqua della crisi agostana dalla spiaggia del Papeete (estate 2019) e la delusione per il flop in Emilia Romagna (gennaio 2020).

Una sconfitta che ne vale quattro perché si tira dietro - a cascata - l'antico e mai risolto tema della leadership del centrodestra, oltre a mettere nero su bianco l'esistenza della cosiddetta «altra Lega», quella dei consensi plebiscitari di un Luca Zaia che si è sempre tenuto a debita distanza dall'onda populista. Per non parlare del paradosso di aver, seppure senza esporsi troppo, sostenuto il «sì» al referendum che, come era ampiamente prevedibile, resuscita la leadership traballante di Luigi Di Maio (ma anche quella di Nicola Zingaretti) e blinda l'odiato Giuseppe Conte, da ieri decisamente più saldo sulla poltrona di Palazzo Chigi. Peggio, insomma, per Salvini non poteva andare. Anche perché il leader della Lega è ben consapevole che - visti anche i guai giudiziari con cui è alle prese, a partire dai processi in cui è imputato di «sequestro di persona» - il tempo rischia di essere un elemento decisivo per le sue aspirazioni. Basti pensare che se davvero la legislatura arrivasse alla scadenza naturale del 2023 - e il risultato di referendum e regionali va in questa direzione - l'ex ministro dell'Interno potrebbe trovarsi ad affrontare le prossime elezioni politiche con una agibilità politica in qualche modo compromessa.

Nei mesi a venire, invece, capiremo davvero come e quanto questo voto agiterà le acque del centrodestra. Nonostante la netta sconfitta di Raffaele Fitto in Puglia, senza dubbio è Giorgia Meloni a vincere la sfida tutta interna alla coalizione. Le Marche, certo, non sono una regione numericamente pesante, ma l'affermazione di Francesco Acquaroli mette la leader di Fratelli d'Italia nella condizione di poter brindare alla prima «roccaforte rossa espugnata dal centrodestra». Parole che qualche maligno potrebbe leggere come indirizzate proprio a Salvini, che ieri ha fallito il secondo assalto in meno di un anno a una regione «rossa». Oggi e nei prossimi giorni ci saranno da valutare anche i voti di lista, che a una prima occhiata dicono che FdI è l'unico partito del centrodestra a guadagnare da tutte le parti. A differenza della Lega che, stando alle proiezioni di ieri sera, in Puglia finirebbe terza, dietro a FdI e Forza Italia. E sarà questo uno dei temi di dibattito nel Carroccio, dove sta tornando a prendere piede lo scetticismo di chi non ha mai digerito la trasformazione della Lega da movimento territoriale a partito nazionale. Da oggi, avranno dalla loro i pessimi risultati di lista che si vanno delineando al Sud (non solo in Puglia, ma anche in Campania).

Un sommovimento, questo, tutto interno al Carroccio. Ma che rischia di saldarsi con la leadership sempre più incontrastata di Zaia. Quella del governatore Veneto, infatti, è una Lega che non ha mai cavalcato l'onda sovranista. Anzi, a guardare bene, se ne è tenuta sempre a debita distanza. E al netto della peculiarità territoriale della Liga, non c'è dubbio che abbia un profondo significato politico il fatto che la lista Zaia presidente abbia preso oltre il triplo dei voti della lista della Lega (a metà scrutinio 47% contro 15). Un gigantesco problema per Salvini. E non tanto perché Zaia voglia far valere la sua vittoria bulgara in Veneto (oltre il 75%) per sfilargli la segreteria, quanto perché testimonia come nel Nord il core business del Carroccio resti quello di sempre. «L'obiettivo adesso è uno soltanto: portare a casa l'autonomia», ha detto ieri sera Zaia nella sua prima uscita a urne chiuse.

La fotografia di una Lega distante anni luce dal partito a vocazione nazionale voluto da Salvini.

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