L'America di Trump viene tratteggiata da una pletora di giornalisti, presentatori, opinionisti come un regime autoritario popolato da zotici provinciali, bianchi, superstiziosi e un po' svitati. Una specie di distopia rurale in cui sarebbe in atto una sorta di colpo di Stato permanente. La capitale morale di questo presunto regime è New York. Ma New York ha appena eletto un sindaco musulmano e di sinistra. E come d'incanto la vittoria di Zohran Mamdani cambia tutto. Per quegli stessi giornalisti, presentatori, opinionisti l'America ridiventa un riferimento: il possibile faro dei diritti e dell'inclusione. Gli Usa suscitano da sempre sentimenti contrastanti: adorati e odiati secondo i punti di vista e le circostanze. Ma mai come oggi si è passati dal sogno all'incubo con tanta disinvoltura. Quando - non troppo tempo fa - la Silicon Valley finanziava Obama, era la Mecca dell'innovazione e del progresso. Ora che flirta con J. D. Vance è dipinta come la Spectre del capitalismo predatorio. Se Musk compra Twitter, la libertà d'espressione è in pericolo. Se invece si abbattono le statue per cancellare la memoria dei padri fondatori, è arte contemporanea con finalità civiche postcoloniali. Se i devoti del cappellino rosso, spaventati dal nuovo sindaco, avvolgono in un burqa la Statua della Libertà come se il Califfato fosse sbarcato sull'Hudson, vengono giustamente irrisi. Ma se in campagna elettorale Mamdani promette trasporti gratis e case popolari per tutti, un qualsiasi Cetto La Qualunque, queste ricette impossibili vengono circonfuse da un'aura di nobiltà d'animo e di giustizia sociale. Un tempo le ideologie erano fuorvianti ma, quantomeno, costituivano un'ancora per i giudizi e per i pregiudizi. Oggi restano i tic ideologici che rendono la lettura che si dà dell'America da questa parte dell'Atlantico spesso grottesca.
L'America primo amore di Mario Soldati - quella che promette a chiunque di farcela lavorando duro, perché si sente investita da una missione universale - è svanita da tempo. Così come si è infranto Il "sogno americano", quanto meno nella sua unicità. Philip Roth con la sua Pastorale ci ricorda che la perfezione di quella visione è già crollata da tempo di fronte alle contraddizioni sociali e politiche degli anni '60 e '70, decretando la fine dell'innocenza e lasciando sul terreno le macerie di un drammatico scontro tra le generazioni. La verità è che oggi molti degli elettori di Trump e di Mamdani si somigliano più di quanto si voglia ammettere. Cercano risposte alla crisi ideale e materiale del globalismo: stessi problemi, soluzioni opposte accomunate dal semplicismo. Per questo, bisognerebbe sforzarsi di capire prima di tranciare sentenze. Perché almeno una cosa resiste sin dai tempi di Tocqueville: chi si illude di giudicare l'America con la penna dell'ideologia rimedia sempre una secchiata d'acqua gelida in testa. Non a caso Mamdani, poco dopo aver decretato la proprietà un furto, scopre che per governare New York serve il settore privato. Il nuovo sindaco guida una metropoli con un mercato immobiliare in moto perenne e un bilancio comunale da 120 miliardi di dollari. La Grande Mela resisterà anche a lui. Come ha fatto con i crolli di Wall Street, con il Covid e persino con due mandati di Bill de Blasio che era molto più "di sinistra" del giovane, ma a quanto pare pragmatico, Zohran. Soprattutto, New York ha superato l'11 Settembre restando sé stessa. Ha resistito, senza scivolare in un apartheid religioso. E se pure la generazione di Mamdani è cresciuta nella sfiducia e nel sospetto, ventiquattro anni dopo le Torri ha scelto comunque la strada del civismo e della rappresentanza.
Ed è proprio qui che l'America continua a dare il meglio di sé. Sa ancora sorprenderci. Perché continua ad accogliere anche chi vorrebbe smontarla bullone per bullone, trasformandolo in un inconsapevole alleato. E pluribus unum. Nessuno lo dimentichi.