Dopo quasi un mese di prigione stanno per tornare in libertà i sei pescatori tunisini che lo scorso 29 agosto erano stati arrestati a Lampedusa con l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Si trovavano al largo dell'isola e dopo aver incrociato un barchino in difficoltà con 14 migranti a bordo l'avevano trainato a meno di 24 miglia dalle coste italiane, dove i profughi erano stati poi soccorsi. Mentre aveva ripreso la rotta verso la Tunisia il peschereccio era stato poi intercettato dalla Guardia di Finanza: il comandante Shamseddine Bourassine e i cinque uomini del suo equipaggio (Lofti Lahiba, Farhat Tarhouni, Salem Belhiba, Bechir Edhiba e Ammar Zemzi) erano stati poi condotti nella casa circondariale Petrusa di Agrigento, mentre la loro barca era stata posta sotto sequestro a Licata.
Fin dall'inizio i pescatori tunisini si erano difesi sostenendo che loro non erano lì per portare clandestini a destinazione ma semplicemente per fare il loro lavoro. Oltretutto Bourassine è piuttosto noto nel suo Paese per essere il presidente dell'Associazione pescatori di Zarzis. Venerdì il Tribunale del Riesame di Palermo ha accolto la tesi dei loro legali disponendo la sospensione della custodia cautelare in carcere e rimettendoli quindi libertà, cosa che tecnicamente avverrà dopo la notifica del provvedimento. «Riteniamo di aver dimostrato che si è trattato di un intervento di soccorso - ha spiegato l'avvocato Leonardo Marino -, abbiamo svolto indagini difensive e importanti si sono anche rivelate le dichiarazioni dei migranti». Tecnicamente i sei restano indagati ma a questo punto potranno decidere di fare ritorno in patria; le motivazioni del Riesame verranno depositate entro trenta giorni.
Per chiedere la loro liberazione si erano mobilitati sindacati e associazioni italiane - Cgil, Cisl e Uil avevano rivolto un appello alla magistratura, il Forum antirazzista aveva organizzato un sit-in - ma anche l'opinione pubblica tunisina.
«Siamo molto felici come tutte le persone che rispettano i diritti umani e la vita - ha detto Anis Soui che è collega e amico del comandante -, i nostri pescatori non sono contrabbandieri ma hanno sempre salvato persone, anche prima della rivoluzione del 2011. Quando troviamo qualcuno in mare non lo lasciamo morire».
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