Cronache

"Non potete lasciarmi". E massacra nel sonno moglie e figlia 16enne

L'uomo ha poi tentato di uccidersi. Grave l'altro figlio scampato alla furia del padre

"Non potete lasciarmi". E massacra nel sonno moglie e figlia 16enne

Sconvolto da una lettera. Poche righe che Stefania Pivetta, 56 anni, aveva scritto all'avvocato che aveva scelto per «dar corso alla pratica di separazione». Quando Alessandro Maja, 57 anni, il marito di Stefania, ha letto quella parola - «separazione» - si è visto crollare il mondo addosso: il «suo» mondo. Un pianeta che riteneva di «possedere» attraverso automatismi patologici mai percepiti come spie di un grave disagio psicologico. Maja, infatti, non era seguito da nessun specialista in «malessere mentale», probabilmente perché questo geometra - «sempre gentile», «di bella presenza» e «realizzato nel lavoro» - credeva, in buonafede, di essere «normale». E a considerarlo tale erano anche tutti quelli che lo circondavano: parenti, colleghi, amici; gli stessi che oggi, tra le lacrime, si chiedono «come possa aver fatto una cosa simile». Il solo descriverla - la «cosa» - mette i brividi. L'insospettabile geometra Maja che nella villetta di famiglia a Samarate (Varese) impugna un martello. Poi, apre la porta della camera da letto. Con una mano mette il cuscino sulla bocca della moglie mentre con l'altra le fracassa la testa. A fianco c'è la stanza dove dorme Giulia, la figlia 16enne della coppia. Non ha udito nulla dell'orrore che si è appena compito a pochi metri. Il padre le si avvicina e, con le stesse modalità precedenti, ammazza anche lei. Ma c'è un terzo obiettivo nel terrificante piano di quest'uomo trasformatosi misteriosamente da «uomo per bene» a omicida: è il primogenito, Nicolò, 23 anni. Lui si è salvato miracolosamente. Ora è grave in ospedale. Sua madre, Stefania, lo scorso 14 febbraio, festa degli innamorati, aveva scritto su Facebook: «Il mio San Valentino lo voglio dedicare alle donne che sono morte per mano di un uomo credendo nell'amore». Sono state le urla di Nicolò ad allertare i vicini di casa che poi hanno avvertito i carabinieri.

Una testimone racconta: «Era davanti all'ingresso e ripeteva tranquillo: Li ho uccisi tutti». Quando i militari sono arrivati i corpi di mamma e figlia giacevano senza vita, mentre Nicolò era agonizzante. Dentro casa puzza di bruciato e sull'uscio Alessandro Maja coi vestiti semibruciati e le braccia ferite. Dopo la mattanza, l'uomo ha tentato di suicidarsi dandosi fuoco e tagliandosi le vene. «Era sotto choc», spiegano gli inquirenti; ma a «parlare» per lui era la scena del delitto. L'accusa è di duplice omicidio volontario e tentato omicidio. Appena dimesso dall'ospedale, sarà interrogato dal pm. Nel sito della sua holding professionale, il «Maja Group», Alessandro si definisce «fulcro e fondatore» dello studio specializzato nella «progettazione di spazi commerciali per il settore food and beverage», con sede a Milano, lungo il Naviglio Pavese. Di sé diceva: «Vulcanico di idee, originali e stravaganti, ma concrete e funzionali» e fra i progetti elencati quelli del «relooking della storica pasticceria Biffi, di spazi all'aeroporto di Malpensa e della stazione di Cadorna». I coniugi Maja avevano acquistato la villetta nel 1999, dopo essersi trasferiti qui da Milano e gli inquirenti precisano che «non risulta alcun episodio di violenza pregressa». I vicini descrivono i Maja come una «famiglia in stile Mulino Bianco»; marito, moglie e figli, tutti «eleganti», «educati», «sereni», «sorridenti». «Mai un litigio».

Fin quando, in una notte maledetta, il «Mulino Bianco» è diventato rosso di sangue.

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