Ieri il nostro Renato Farina ha trattato da par suo la vicenda di Martina Levato, che senza un motivo accertato sbatté (con la complicità del moroso) un bel po' di acido in faccia a un ragazzo, sfregiandolo. Processata e condannata a 14 anni di reclusione, la giovane donna, incinta all'epoca in cui commise il delitto, ha appena partorito un bimbo al quale è stato imposto il nome di Achille. Cose che succedono, per fortuna non spesso.
Il problema è che il bimbo, non appena nato, è stato allontanato dalla madre per decisione dei giudici, e da ora in poi sarà adottabile da una famiglia idonea. Giusto? Sbagliato? Secondo Farina e molti altri è un errore. Peggio, un'infame crudeltà, perché una mamma e la sua creatura sono uniti da un vincolo non solo naturale (pertanto inviolabile), ma addirittura sacro: un legame che consente al piccolo di assorbire, attraverso il latte materno, energie vitali che incidono sulla sua psicologia.
Su questo aspetto non mi dilungo: tutti sanno, infatti, quale sia il significato profondo della procreazione, perfino negli animali. Cosicché è ovvio che susciti impressione e pena il distacco di Achille da colei che lo ha dato alla luce. Ma se il cuore si oppone, anzi, si ribella davanti a questo caso, la ragione ci dice che non era lecito agire diversamente da come la magistratura ha decretato, tenendo soprattutto conto dell'interesse dell'erede. Parliamoci chiaro, senza ipocrisie: chi affiderebbe un bebè a una donna che ha rovinato gratuitamente l'esistenza a un giovanotto (20 anni) e che, su precisa richiesta dei rappresentanti della giustizia («perché lo ha fatto?»), non ha saputo aprire bocca?
Una persona così non garantisce l'equilibrio necessario per allevare un bambino, assicurando di non nuocergli. Di sicuro Achille meritava di crescere assaporando il nutrimento (e ricevendo le cure) della mamma, ma non di Martina, che ha dimostrato di non avere una coscienza registrata su una moralità accettabile. In determinate circostanze, è fatale scegliere il male minore e tentare di regalare un destino privo di rischi al neonato.
Non credo che i giudici abbiano assunto simile provvedimento con freddezza e cinismo, ma optato per la separazione solo ed esclusivamente allo scopo di non correre il rischio che la detenuta, avendo compiuto lo scempio che sappiamo, potesse fare più male che bene al
suo figlioletto. Ha prevalso in loro la prudenza sui sentimenti. Nella fattispecie, i magistrati non avevano un'alternativa che non fosse azzardata. Auguriamo ad Achille un futuro sereno, e a Martina di rientrare in senno.
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