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«Non siamo state violentate» Secretato l'interrogatorio

Le due italiane raccontano al pm i cinque drammatici mesi di prigionia: «È stata dura, ma non ci hanno mai toccate né minacciate di morte»

Cinque mesi difficili, spostate da una prigione all'altra del Nord della Siria, senza però subire violenze o abusi sessuali. Con lo sbarco a Ciampino, venerdì mattina alle 4, Greta Ramelli e Vanessa Marzullo si sono lasciate alle spalle il rapimento, avvenuto il 31 luglio fra Aleppo e Idlib. Ma l'ultimo capitolo è ancora da scrivere e ci stanno provando i magistrati romani, titolari dell'inchiesta per sequestro di persona con finalità di terrorismo. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Sergio Colaiocco e Francesco Scavo ieri per quattro ore hanno ascoltato il racconto fatto dalle cooperanti nella sede del Ros di Roma. C'è da chiarire la questione del riscatto e i misteri che ruotano attorno al rapimento e ai gruppi che l'hanno operato.

Che sarebbe stata un'altra giornata impegnativa le due ragazze, di 20 e 21 anni, lo avevano capito subito, mettendo piede a Ciampino dopo un volo di tre ore a bordo del Falcon dell'Aeronautica militare, partito dalla Turchia. Ad attenderle sulla pista, il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni e una folla di cameramen e giornalisti, pronti a raccogliere frasi e sorrisi. Entrambe, però, apparivano visibilmente stanche, strette in pantaloni neri e giubbotti scuri, con il cappuccio tirato sul capo, quasi a proteggersi. A consolarle in una saletta dell'aeroporto, lontane dai media, il rapido abbraccio di fratelli e genitori, giunti dalla Lombardia. Poi i controlli di routine nell'ospedale militare del Celio e l'incontro con i pm, che cercano di ricostruire questi mesi difficili.

Si sa che era stata Vanessa, studentessa di Mediazione Linguistica di Brembate, a organizzare il progetto Horryaty, che riuniva varie associazioni di volontariato per portare medicine in Siria. Greta, di Gavirate (Varese), l'aveva seguita, perché volontaria dell'Organizzazione internazionale di Soccorso. E si sa che dopo essere state sequestrate, le due cooperanti erano state cedute dai rapitori al fronte Al Nusra, il ramo siriano di al Qaida. Ma difficile è valutare dove finisce il confine fra le attività dei vari gruppi e sottogruppi, spesso in conflitto tra loro, che gareggiano per attribuirsi rivendicazioni. Certo è invece il video con cui il 31 dicembre Vanessa e Greta, vestite con un chador nero, chiedevano aiuto al governo, dicendo che rischiavano di essere uccise.

Il Governo italiano, però, come di prassi, nega il riscatto, che secondo il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ammonterebbe a 12 milioni di dollari in cambio della loro liberazione. Ma da chi? Le volontarie hanno raccontato ai pm che i loro carcerieri erano sempre a volto coperto. E dai verbali delle due audizioni, ora secretati, è emerso che le due hanno ribadito di non essere mai state minacciate di morte o violentate. In sostanza ai magistrati hanno parlato di un trattamento duro, ma con livelli di criticità tollerabili e non paragonabili a quelli subiti da altri italiani sequestrati in zone di guerra, come la Libia. Sulla questione riscatto le due hanno detto di non saper nulla e di non aver mai avuto notizie riguardanti il rapimento di padre dall'Oglio, sequestrato in Siria il 23 luglio del 2013.

Oggi le ragazze torneranno a casa. A Gavirate attendono Greta con ansia. «Vorrei ringraziare la Farnesina e tutte le istituzioni che hanno lavorato per la loro liberazione», ha detto Roberto Andervill, che cofondatore del progetto Assistenza sanitaria in Siria-Horryaty. «Sono felicissimo - ha commentato invece Salvatore Marzullo -. Ma quella di Vanessa si è rivelata purtroppo una scelta sbagliata. Molte volte solo il coraggio non serve: bisogna usare la testa». A chi gli domanda se la lascerà partire di nuovo, però, risponde: «Non è un discorso da affrontare adesso».

Ora, è il momento della gioia, e il parroco di Brembate, sapendo della liberazione ha fatto suonare le campane del paese.

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