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Il "non voto" vero alleato del Pd. Vincono se l'astensione vola

Esultano ma la fuga dalle urne resta preoccupante. Il punto di forza: scegliere candidati identitari

Il "non voto" vero alleato del Pd. Vincono se l'astensione vola

l paradosso del Pd ormai è nel nome. Il Partito Democratico riesce a vincere quando la democrazia è a bassa intensità. Il suo più grande alleato non è il campo largo, con lo sguardo che abbraccia i grillini dimezzati di Conte o Di Maio, o con le scorribande verso un centro in cerca d'autore. La fortuna del Pd è il non voto. È la risacca di consenso, la fuga di chi non sa più a che santo votarsi, la disillusione, lo scetticismo, la noia. È insomma la crisi di democrazia che stiamo vivendo. Sono andati a votare solo quattro italiani su dieci.

L'istituto Cattaneo rileva come il non voto abbia danneggiato soprattutto il centrodestra. È uno studio parziale, su quattro città (Monza, Alessandria, Parma e Catanzaro), ma mostra con chiarezza una tendenza che ha valore nazionale. Si è aperta una voragine nella democrazia italiana. È un vuoto di consenso, che in parte verrà riassorbito, ma che potrebbe anche avere conseguenze al momento difficili da definire. È il luogo dove finiranno tutti quelli che non ci credono più, stanchi di aspettare un cambio di marcia, incapaci di vedere una prospettiva. Sono gli elettori che si sono arresi e fuggono dal gioco democratico, ritirandosi in un qualunquismo senza sbocchi, senza speranze. «Tanto è tutto inutile. Non cambia nulla».
La disillusione, impastata con la paura, è uno degli ingredienti più letali per la civiltà liberale e democratica. In giro ce ne è in abbondanza e stiamo già oltre il livello di guardia. A Monza l'affluenza è calata di circa dieci punti percentuali (dal 46,6% al 36,8%). Tra primo e secondo turno si sono inoltre ribaltate le gerarchie tra i candidati: il centrodestra era avanti ma il candidato Allevi ha perso per strada più di tremila voti. Stesso trend ad Alessandria dove il candidato di centrodestra (che era sindaco uscente) ha perso un po' di voti rispetto al primo turno, mentre il candidato di centrosinistra ha incrementato il proprio bacino elettorale.

È vero che chi rinuncia al voto non ha diritto di lamentarsi. Il punto di forza del Pd resta la capacità di scegliere candidati più rappresentativi, espressione di un'area ben definita. Non ha i problemi di competizione interna alla coalizione che sta vivendo il centrodestra. Questo alle amministrative rende le cose più facili.

La scarsa affluenza è però un segnale e sottovalutarlo sarebbe un grave errore, per tutti. Il Pd solo in apparenza è uscito da queste elezioni amministrative più forte. È un partito che sta perdendo, anno dopo anno, la sua pretesa di sentirsi universale. È partigiano, non di massa, espressione di pezzi d'Italia colpiti in maniera meno profonda dalla crisi economica e sociale, radicato al centro delle città. Questo dal punto di vista tattico non è un difetto, ma cambia completamente il suo orizzonte ideale. È un partito di minoranza che con la bassa marea democratica riesce comunque a governare. Enrico Letta sperava di trovare sangue nuovo proprio regalando al Pd le ragioni della protesta grillina. Era un modo per dare sostanza a un progetto politico che spesso si ritrova lontano dalla realtà quotidiana. Questo processo si è sgonfiato per l'implosione del movimento a cinque stelle e per la difficoltà da parte dello stesso Pd di incarnare valori popolari.

Alle elezioni politiche, senza il doppio turno, le possibilità di esprimere una maggioranza per governare sono scarse e questo costringe Letta a giocare per il pareggio, scommettendo ancora una volta sull'area del non voto.

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