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La nonna di Eitan: "L'Italia ha ucciso tutta la mia famiglia"

Tensione al tribunale di Tel Aviv

La nonna di Eitan: "L'Italia ha ucciso tutta la mia famiglia"

Premessa d'obbligo: il Tribunale della Famiglia di Tel Aviv che sta esaminando il «caso Eitan» non dovrà stabilire a chi tocca l'affidamento del bambino sopravvissuto alla strage del Mottarone, ma decidere se applicare o meno la Convenzione dell'Aja sui bambini portati illecitamente all'estero. A tale scopo il giudice israeliano ha incaricato un pool di esperti in materia di diritto internazionale.

La domanda chiave è: il nonno materno di Eitan ha effettivamente rapito il nipote dall'Italia o si è mosso nei limiti della legalità? Nel primo caso il bimbo dovrà essere subito restituito al «ramo paterno» della famiglia (la zia Aya Biran); nel secondo caso (tanto improbabile da apparire quasi impossibile) il bambino potrà rimanere con il «ramo materno» (il nonno Shmuel Peleg).

L'udienza interlocutoria di ieri si è svolta a porte chiuse e ha avuto a centro della discussione l'istanza della zia paterna, la quale chiede che gli sia restituito il nipote nel rispetto della custodia riconosciutole dal Tribunale di Torino all'indomani della tragedia della funivia quando Eitan perse i genitori e il fratellino. Dall'altra parte, la richiesta del nonno materno (protagonista del blitz con cui in poche ore ha trasferito il nipote da Pavia a Tel Aviv) il quale sostiene che il bambino, in quanto ebreo, «debba crescere in Israele, suo luogo naturale».

Ognuna delle due parti in causa possono portare in aula cinque testimoni ciascuno: opportunità che, durante il dibattimento conclusosi nella mattinata di ieri,i Biran e i Peleg hanno sfruttato solo in parte. Un'altra udienza è prevista oggi e quella decisiva domenica.

Intanto ieri, a smentire i presunti propositi di pace dei contendenti, sono arrivate le dichiarazioni choc della nonna materna del bimbo: «L'Italia è responsabile della morte di mio padre, mia figlia e mio nipote. Non possono prendere anche Eitan», ha detto Ester Coen Peleg. Che poi se l'è presa anche con il giudice, «reo» di «non averla ammessa al dibattimento in aula».

Altro che «pace».

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