Nordio assolve Delmastro sul caso Cospito. "Non decidono i pm se gli atti sono secretati"

E Donzelli si difende davanti al Gran giurì della Camera sulle accuse al Pd

Nordio assolve Delmastro sul caso Cospito. "Non decidono i pm se gli atti sono secretati"

Le dimissioni di Andrea Delmastro da sottosegretario alla Giustizia che il Pd invoca per un avviso di garanzia «sono un'aspirazione velleitaria e metafisica». Mentre i dem Debora Serracchiani, Andrea Orlando, Walter Verini e Silvio Lai sfilavano (in segreto) per cinque ore dal gran giurì della Camera, reclamando un ristoro alla lesione della loro onorabilità, al question time a Montecitorio il ministro della Giustizia Carlo Nordio seppelliva definitivamente l'ipotesi di rivelazione del segreto d'ufficio nel caso dell'anarchico Alfredo Cospito su cui indaga la Procura di Roma dopo l'esposto del Verde Angelo Bonelli. La colpa di Delmastro è quella di aver rivelato al collega di partito Giovanni Donzelli il contenuto di un rapporto del Dap (riservato ma non secretato) che riportava la notizia - già pubblicata su alcuni quotidiani - che una nutrita delegazione Pd era andata in gita dall'anarchico Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro la sua detenzione al regime di 41bis decisa dall'ex Guardasigilli Marta Cartabia, a cui il Pd aveva detto sì senza fiatare. La «limitata divulgazione» è un mero atto amministrativo, ricorda Nordio. Il messaggio è preciso: è il ministero a qualificare la segretezza o meno dell'atto, non certo la magistratura, altrimenti «potrebbe crearsi una problematica che potrebbe e dovrebbe essere risolta in un'altra sede». Pd e pm che indagano su Delmastro sono avvisati: se così non fosse la parola passerebbe alla Corte costituzionale. «Bastasse un avviso di garanzia a dimettersi, devolveremmo all'autorità giudiziaria il destino di ognuno di voi», ammonisce il Guardasigilli. Intanto le opposizioni insistono: «Delmastro deve dimettersi e se non lo fa deve essere il governo a rimuoverlo dall'incarico». E se andasse in Aula l'opposizione diserterebbe le sedute.

Ma se l'insussistenza del segreto violato è chiara a tutti tranne che alle opposizioni, resta la figuraccia che il Pd ha fatto sfilando in processione dai boss mafiosi, compagni di ora d'aria dell'anarchico. «State con i boss e con i mafiosi o con lo Stato», è stata l'accusa di Donzelli ai dem, che con la loro visita hanno in qualche modo fatto da megafono alle istanze dell'anarchico, vanificando così i presupposti del 41bis di limitare la diffusione di messaggi da parte dei reclusi al carcere duro. Una frase figlia del diktat che Cospito avrebbe imposto ai parlamentari Pd prima di parlare delle sue condizioni di salute. Ma proprio i boss sarebbero gli ispiratori della battaglia di Cospito contro il carcere duro, ipotesi investigativa che trova più di una conferma. Insomma, Donzelli ha usato parole dure, ma il problema sollevato c'è. Fu vero oltraggio? Al gran giurì presieduto dal grillino Sergio Costa l'ardua sentenza: «Ma le audizioni vanno prima sbobinate, rilette, masticate, metabolizzate», ha detto Costa ai cronisti. Solo quella di Donzelli è durata un'ora. Se ne riparla non prima del 10 marzo.

Sempre che agli esausti commissari Fabrizio Cecchetti, della Lega, Annarita Patriarca di Forza Italia, Alessandro Colucci di Noi Moderati e Roberto Giachetti del Terzo Polo dopo la lettura dei resoconti stenografici sia rimasta qualche diottria.

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