Il vaso di Garlasco andava chiuso prima

Un richiamo doveroso all'ordine, alla deontologia, alla correttezza professionale e al rispetto delle indagini da parte di un magistrato Napoleone di cui sono riconosciuti il rigore e la riservatezza

Il vaso di Garlasco andava chiuso prima
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In quale momento trabocca il vaso? Viene da chiederselo, leggendo la nota diffusa ieri dal procuratore di Pavia Fabio Napoleone a proposito del Grande Circo di Garlasco. "Dato il continuo attribuire alla Procura di Pavia valutazioni, ricostruzioni, attività in corso e persino stati d'animo scrive il magistrato - ritengo necessario chiarire quanto segue: i magistrati titolari delle indagini, che aggiornano costantemente il Procuratore sull'accuratezza delle verifiche condotte, si esprimeranno ufficialmente solo al termine delle attività, adottando le decisioni necessarie". "Qualsiasi interpretazione proveniente da soggetti estranei all'Ufficio, in assenza di comunicati ufficiali, - prosegue la comunicazione - genera solo confusione, dando vita a discussioni fittizie in cui consulenti, esperti o opinionisti commentano su ipotetiche scelte della Procura basate su congetture. Perciò, ogni riferimento alla Procura di Pavia, anche quelli recentemente diffusi, deve considerarsi infondato, se non supportato da comunicazioni ufficiali". Un richiamo doveroso all'ordine, alla deontologia, alla correttezza professionale e al rispetto delle indagini da parte di un magistrato Napoleone di cui sono riconosciuti il rigore e la riservatezza. Un giudice molto capace e altrettanto discreto, come testimoniano i lunghi anni alla distrettuale antimafia di Milano, le indagini sul terrorismo, quelle sulla pubblica amministrazione e sui dossieraggi illegali del caso Telecom-Sismi. Stupisce, allora, un simile ammonimento dopo mesi di tritacarne nel quale sono finiti vecchi e nuovi indagati, testimoni e sospettati, parenti, conoscenti e persino presunti amanti, storie di ossessioni, invidie, sette e suicidi, in una palude che non ha risparmiato nessuno, soprattutto non ha risparmiato le parti più esposte e fragili dell'intera vicenda: la famiglia Poggi e la memoria di Chiara. L'11 marzo più di quattro mesi fa è emerso che la Procura di Pavia stava indagando sul delitto di Garlasco con una nuova idea e una ricostruzione del delitto alternativa alla sentenza passata in giudicato che ha indicato come colpevole Alberto Stasi. Un'iniziativa più che legittima: la condanna di Alberto ha lasciato margini di incertezza. Ma è un'indagine che in quattro mesi ha aperto a ogni tipo di supposizione - quando non vera e propria invenzione -, su cui è stato detto e scritto molto senza che i dubbi su un delitto vecchio di 18 anni siano stati finalmente chiariti. Che significa? Che i mezzi di informazione hanno delle responsabilità. Ma forse, che almeno all'apparenza e fino a prova contraria anche questa nuova inchiesta si sta muovendo su un terreno tutt'altro che solido.

Quattro mesi nei quali si è assistito a una incontrollata speculazione sull'omicidio di una giovane donna, senza che i magistrati abbiano sentito l'urgenza di richiamare alla sobrietà e a una maggiore aderenza narrativa alle "scelte della Procura". Fino a ieri. Fino a che l'oggetto del "divagare" mediatico non è stata la Procura stessa. Allora sì, e solo allora, il vaso è traboccato.

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