Il "centrino" non va. Calenda in solitaria verso il fallimento

L'ex ministro paga il divorzio da Matteo e i troppi cambiamenti di linea politica

Il "centrino" non va. Calenda in solitaria verso il fallimento
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Tra le svariate piroette di Carlo Calenda, il rischio di inciampare e cadere, andando a sbattere sulla soglia di sbarramento delle europee, era piuttosto alto. La sua formazione centrista Azione-Siamo europei ha ballato tutta la notte sul filo della ghigliottina del 4%: la seconda proiezione dava il suo mini-rassemblement perfino avanti di qualche decimale nel derby contro l'ex alleato Renzi e la sua intesa di scopo +Europa e Italia Viva confluite in unica lista. I primi exit poll descrivevano però un netto crollo di Azione rispetto alle previsioni ottimistiche della vigilia (Calenda si diceva convinto di superare il 5%). Dalla mezzanotte i calendiani si sono attestati attorno al 3,3%, continuando a oscillare, lottando con i decimali appesi ai margini d'errore.

Fra il serio e il faceto, Calenda aveva promesso che si sarebbe tatuato le stelle dell'Ue sul polso, qualora Azione non avesse superato «il 5%». Il risultato pare ben al di sotto dell'asticella fissata. L'ambizione dell'affabulatore romano, complice la soglia di sbarramento, potrebbe non essere neppure ricompensata con un eurodeputato. Non è bastata né la postura filo-Ucraina, né lo sventolio dell'agenda Draghi a far crescere oltre ogni ragionevole dubbio l'affezione verso un leader che aveva detto che non si sarebbe candidato nelle liste di Azione, bollando come «presa in giro» la scelta di trainare i partiti con la forza del nome senza andare a Bruxelles. Infine retromarcia: capolista in tutte le circoscrizioni (tranne nel Nord-Ovest). I primi risultati non soddisfano chi, dentro la stessa Azione, ostentava sicurezza e candidati «ultra-professionali».

Piuttosto era fondata l'irritazione del presidente francese per la scelta dei due ex terzopolisti di correre separati, fino a farsi la guerra al centro. Calenda, macroniano di ferro, ha usato la clava. «Noi andremo tutti nel gruppo Renew di Macron», spiegava alla vigilia del voto Ue; altri andranno in ordine sparso (diceva mirando a Stati Uniti d'Europa). È stato infine costretto a tornare sulla terra, dopo giorni di attacchi frontali anche a Salvini, chiedendone le dimissioni per aver indicato Macron come «instabile». Ieri è stato invece l'inquilino dell'Eliseo a dover indire elezioni anticipate.

Calenda non lo ammetterà, ma il mancato rappacificamento gli è costato caro, se non fatale: Azione ebbe un eurodeputato nella scorsa tornata. Se per gli altri partiti il voto Ue è stato anche un test nazionale, per Carlo è stato un test-acoda. Si è lanciato senza paracadute dopo il brusco divorzio dall'ex alleato.

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