Assediare lo Stato Islamico a Raqqa, cacciarlo da Ramadi e combatterlo su tutte le prime linee siro-irachene mettendo a segno quanti più raid possibili. Anche se questo significherà posar gli scarponi sull'infido suolo siriano o utilizzare le «forze speciali» per aggredire lo Stato Islamico dentro le sue stesse roccaforti. Il segretario della Difesa statunitense Ashton B. Carter l'ha già battezzata «strategia delle tre R». Il progetto di escalation militare, messo a punto su richiesta del presidente Barack Obama, punta innanzitutto a rivitalizzare l'impantana campagna militare contro lo Stato Islamico. Ma anche a dimostrare di aver ancora qualche carta per fermare un Vladimir Putin pronto a esercitare un ruolo egemone in tutto il Medio Oriente. Per Carter, insomma, la via d'uscita dal «pantano» siro-iracheno segue tre direzioni obbligate. Tutte contraddistinte da una R come iniziale. La prima si chiama Raqqa e indica il capoluogo siriano diventato la capitale dell'Isis sui territori di Bashar Assad. Soltanto strappandola al Califfato l'America potrà affermare di aver tagliato una delle teste del serpente bicefalo che da due anni divora nuovi territori in Siria e in Irak. Un serpente che non perde l'occasione di spettacolizzare l'orrore per conquistare la scena internazionale. Una tattica rilanciata ieri diffondendo il raccapricciante video dell'esecuzione di tre prigionieri fatti saltare in aria dopo esser stati legati a tre colonne dell'antica Palmira.
Sul fronte iracheno l'obbiettivo principale, a detta di Ashton Carter, resta invece Ramadi. La città, caduta nelle mani del Califfato lo scorso maggio, rappresenta la naturale porta d'accesso per la conquista di Bagdad e costituisce un obbiettivo indispensabile per la sopravvivenza dell'intero Irak.
La terza R, a differenza delle altre due, non simboleggia un obbiettivo, ma una metodologia strategica dettata dalla necessità di dimostrarsi all'altezza dei rivali russi. Solo tra lunedì e martedì gli aerei di Putin hanno messo a segno 94 bombardamenti, tre in più di quelli americani di tutto il mese. I raid Usa, inoltre, non centrano un obbiettivo dal 22 ottobre quando hanno colpito un mortaio e un veicolo dell'Isis. Ma il vero segnale dell'impantanamento statunitense è la progressiva diminuzione delle operazioni aeree passate dalle 216 di agosto alle 115 di settembre fino alle appena 91 di questo ottobre. La decrescita non segnala solo una mancanza di motivazioni strategiche, ma anche l'incapacità tattica d'acquisire e individuare obbiettivi sul terreno. Per questo il Segretario alla Difesa suggerisce d'incrementare l'utilizzo delle forze speciali già presenti in Irak e di rompere il tabù politico militare che ha, fin qui, frenato l'utilizzo di «Seals» e «Delta Force» in Siria. Le due proposte sono la conseguenza delle pressioni esercitate dal Socom, il «Comando forze speciali» che preme per spostare in prima linea, al fianco degli alleati locali, le unità presenti in Irak e impiegarle così per segnalare agli aerei statunitensi gli obbiettivi strategicamente più appetibili. In Siria invece i generali vorrebbero infrangere il tabù politico strategico che vieta di posare gli scarponi sul suolo di Damasco. Un tabù già superato, in verità, durante due falliti tentativi di liberare gli ostaggi e nel corso di un terzo raid messo a segno per prelevare un luogotenente del numero uno dell'Isis Al Bagdadi. Ma mettere gli scarponi sul terreno, come dimostra l'operazione congiunta condotta la scorsa settimana da Delta Force ed alleati curdi per liberare un'ottantina di ostaggi iracheni, significa mettere a rischio le vite dei soldati americani.
Una prospettiva non proprio incoraggiante per un presidente assai preoccupato, a questo punto, di regalare altri argomenti a chi dovrà consegnare alla storia due mandati contrassegnati, sul fronte internazionale, da una serie di disastri e sconfitte senza precedenti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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